Como, 23 maggio 2020 - Rischia di trasformarsi in un problema diplomatico il telelavoro di impiegati e professionisti frontalieri costretti, come tanti altri loro connazionali, a lavorare con il computer da casa in Italia per i loro uffici che si trovano in Canton Ticino. La questione incide direttamente sulla tassazione in base al principio che il lavoro viene tassato nel luogo in cui si svolge, con il rischio quindi che ai frontalieri assunti in Canton Ticino venga chiesto di pagare al fisco italiano.
Del caso si stanno interessando anche le autorità elvetiche che per ora hanno trovato una soluzione provvisoria solo con la Francia, da cui prima della pandemia ogni giorno varcano i confini ben 180mila lavoratori. Per non creare inutili sovrapposizioni si è deciso di considerare i dipendenti in telelavoro alla stregua degli altri frontalieri che varcano il confine. Con la Germania e con l’Italia invece le trattative già avviate nelle scorse settimane non hanno ancora prodotto risultati concreti. Con il nostro Paese in particolare si rischiano problemi tributari in base alla convenzione del 1974 che non prevede deroghe al criterio del rientro giornaliero per mantenere lo status di frontaliere. «Il lavoratore residente in Italia e costretto al telelavoro, in assenza del requisito del rientro giornaliero a domicilio, non potrebbe più essere considerato frontaliere - dicono gli esperti -. La potestà impositiva spetterebbe pertanto all’Italia, mentre per il frontaliere rimasto oltreconfine come una parte del personale sanitario durante l’emergenza questa potestà continuerebbe a spettare alla Svizzera".