Nel giro di poche ore, due detenuti che avevano ottenuto gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico sono andati incontro alla stessa malagestione del servizio. Scarcerati, da Como e Voghera, sono stati accompagnati a casa e trattenuti in auto in attesa dei tecnici della compagnia telefonica che non si sono mai presentati, inviando all’ultimo una generica comunicazione. I due detenuti sono stati quindi riportati in cella in attesa di nuove disposizioni, che non si sa quali tempi avranno. Una questione non nuova, sulla quale è ora intervenuto il loro difensore, l’avvocato comasco Annalisa Abate, "per segnalare l’ennesimo caso di grave inefficienza del sistema dei braccialetti elettronici in Italia, che sta causando un’inaccettabile compressione dei diritti costituzionali".
Dopo l’accoglimento dell’attenuazione della misura da parte dei tribunali di competenza, la società incaricata della fornitura dei dispositivi aveva fissato l’appuntamento per l’installazione tre settimane dopo la notifica. "Situazione già di per sé inaccettabile – prosegue il legale - se si considera che una persona meritevole di una misura meno afflittiva debba attendere dietro le sbarre per giorni o addirittura settimane la disponibilità del braccialetto elettronico.
A cui si aggiunge lo smarrimento di chi, giunto sotto casa, si vede rispedire al mittente come un pacco postale e con l’umiliazione di un viaggio a vuoto". Per un servizio negato all’ultimo minuto. "Ci troviamo di fronte a una palese violazione dei principi costituzionali: due persone sono costrette a rimanere in carcere per inefficienze organizzative del gestore telefonico. Il braccialetto elettronico deve essere uno strumento di controllo, non una misura punitiva, e non può tradursi in una violazione dei principi di libertà personale".