
Arresto della Guardia di finanza
Porlezza (Como), 30 novembre 2018 - Minacce ai potenziali acquirenti degli immobili finiti all’asta, per farli desistere e consentire l’acquisto a società ritenute riconducibili allo stesso proprietario. Condotte che si sono concretizzate in un’ipotesi di reato di turbativa d’asta, e che che hanno portato in carcere un imprenditore di 48 anni con domicilio in Svizzera, ma con attività concentrate nella zona di Porlezza tra cui una società produttrice di infissi per la quale è in atto la procedura di fallimento.
Il Gip di Como Carlo Cecchetti, ha accolto la richiesta giunta al termine dell’indagine condotta dal Nucleo di Polizia Giudiziaria della Guardia di finanza di Como, coordinata dal procuratore capo Nicola Piacente. Le condotte di cui è accusato il 48enne sono scaturite dalla messa in vendita di alcuni immobili del fallimento, ma soprattutto da una precisa segnalazione giunta dal curatore fallimentare, relativa a potenziali acquirenti che, inspiegabilmente, avevano rinunciato all’acquisto dei beni. Magazzini e negozi del porlezzese di cui avevano già preso visione, alla presenza dello stesso imprenditore che ne era il custode, salvo poi rinunciare alle trattative. Così, dagli accertamenti della Guardia di finanza, sono emerse tre precise circostanze in cui i potenziali acquirenti avrebbero subìto minacce per rinunciare all’acquisizione. Gli episodi risalgono al 25 maggio, quando era stato fissato un incontro con tre potenziali acquirenti per visionare uno spazio commerciale. Nel primo caso, una donna sarebbe stata indotta dall'imprenditore con modi risoluti a «lasciar perdere», in quanto avrebbe potuto ricevere «una grossa multa dalla Guardia di finanza», tale da dover chiudere l’attività che intendeva aprire.
Nel secondo caso, avrebbe invece intimato all’interessato di non andare alle aste, in quanto l’acquisto era «roba sua», aggiungendo: «io in Albania ho cento operai, non mi costa nulla portarne su cinque». Infine a una terza persona interessata a un immobile, avrebbe fatto sapere che nessuno poteva «portargli via il capannone» e che «conosceva gente in Russia da far venire su». Gli immobili erano poi stati acquisiti da due società che secondo gli inquirenti sarebbe riconducibili allo stesso imprenditore finito in carcere.