Paola Pioppi
Cronaca

La condanna di Massimo Riella, sentenza senza segreti: “Drogato, cercava soldi”

Gravedona e Uniti, non aveva alcun alibi la sera della feroce rapina. Vittime due anziani coniugi minacciati con un coltello per 800 euro.

Massimo Riella

Massimo Riella non ha alcun alibi, si trovava nei pressi dell’abitazione delle vittime nell’orario in cui è stata commessa la rapina. È un soggetto con particolari doti atletiche "obiettivamente non comuni", compatibili con la capacità di arrampicarsi su un balcone, e il suo dna è stato rilevato sulla mannaia sequestrata nella casa delle vittime, mentre su un suo indumento è stata trovata una traccia della vittima. I giudici del Tribunale Collegiale di Como – Valeria Costi, Veronica Dal Pozzo e Valerio Maraniello - che lo scorso 12 ottobre hanno condannato a 9 anni di reclusione il cinquantenne ex fuggiasco di Gravedona, non hanno dubbi: la rapina pluriaggravata commessa il 9 dicembre 2021 a casa di due anziani coniugi, è stata commessa da lui.

La donna 88 anni, il marito 91, aggrediti e gettati a terra facendogli sbattere la testa, il marito preso per il collo, minacciati con un coltello e dicendo che li avrebbe ammazzati mentre si impossessava di 800 euro. Lo spiegano in 50 pagine di motivazione, elencano la "pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti". Una rapina che secondo i giudici non sarebbe stata premeditata: "le caratteristiche sono tali da ritenerla un fatto non pianificato, ma un’azione estemporanea tipica di un soggetto che aveva assunto stupefacenti, e che aveva bisogno di denaro".

Tuttavia, il "riscontro definitivo al quadro indiziario chiaro, preciso e concordante, è dato dalle risultanze delle consulenze biologiche" del consulente della Procura e dal "rigore logico delle sue argomentazioni", rispetto "all’assenza di valide argomentazioni contrarie da parte della difesa… Le cui considerazioni sono da ritenersi mere opinioni del difensore stesso, in quanto non supportate da nessun parere esperto". Ma quello che per i giudici rileva, è un ulteriore aspetto scaturito dal dibattimento: "La stessa difesa, pur nel maldestro tentativo di creare confusione, non ha contestato che il dna rilevato sulla mannaia e sul pile appartengano all’imputato, né che quello dalle tracce emetiche rilevate sul pile appartenga a una delle vittime". Infine, nel calcolare la pena, il Collegio ha tenuto conto del "pessimo comportamento processuale dell’imputato, e della gravità del danno causato alle persone offese".