EMILIO
Cronaca

La “repübblica“ che sfamava la povera gente

Magni Il dialetto sta scomparendo, purtroppo. Nel corso di questi ultimi secoli sono andati perduti un sacco di nomi,...

Magni Il dialetto sta scomparendo, purtroppo. Nel corso di questi ultimi secoli sono andati perduti un sacco di nomi,...

Magni Il dialetto sta scomparendo, purtroppo. Nel corso di questi ultimi secoli sono andati perduti un sacco di nomi,...

Magni

Il dialetto sta scomparendo, purtroppo. Nel corso di questi ultimi secoli sono andati perduti un sacco di nomi, di modi di dire, di espressioni che coloravano la parlata meneghina dell’Ottocento e dei secoli prima. Per renderci conto di questo disfacimento basta leggere qualcuno dei poeti dialettali milanesi dal 1600 in avanti: da Carlo Maria Maggi e Giovanni Balestrieri, fino a Carlo Porta, Tommaso Grossi, Delio Tessa e altri. Un curioso dialogo tra due persone, di cui ormai non sa più niente nessuno, molto frequente nell’Ottocento a Milano, ce lo ha riproposto il signor Gianni Invernizzi, detto “Gianin“, lombardo Doc e grande esperto e storico del dialetto. Il colloquio avveniva tra una massaia di un popolo quasi sempre alla fame e un bottegaio. Entrata dal “cevellée“, la donna chiedeva: "Vuraria un bel cinq ghei de repübblica". Ma cosa voleva significare questa “repübblica“? Diciamo subito che, come dicono gli esperti dell’antico dialetto milanese, questa “repübblica“ chiesta dalla povera massaia, non aveva alcun riferimento alle istituzioni dello Stato, alla cosa pubblica: la forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo. Il detto è antico e quando era tirato in ballo, “repübblica“ significava, confusione, disordine. Per un audace traslato popolare i milanesi chiamavano “repübblica“ l’insieme di ritagli di carne di maiale e di insaccati, di pezzetti di cotiche e altri scarti: insomma tutta roba di scarsissimo valore ma fatta da una “comunità“ di piccoli pezzi, dove tutti sono uguali fra loro, con mancanza di ogni ordine e gerarchia, anche se in confusione. Per completare la sua dotta lezione “el Gianin“ ha raccontato che talvolta il salumiere rispondeva: "De repubblica ghe n’è nò. Se la voeur gu i brüscitt". Così erano chiamati le piccole frattaglie delle pelli dei bovini. Nell’Ottocento fuori dalle concerie di pelli si formavano gruppi di donne che chiedevano i “brüscitt“: cibi da fame. Adesso vi sono alcun i ristoranti propongono i “brüscitt“ come piatti prelibati. emiliomagni@yahoo.it