Una firma a suo modo storica quella con la quale ieri il ministro all’Economia, Giancarlo Giorgetti, e la consigliera federale svizzera Karin Keller Sutter hanno deciso di regolare le "questioni fiscali pendenti" tra i due Paesi che condividono anzitutto 78mila frontalieri, la maggior parte dei quali lombardi, e un numero imprecisato di furbi e furbetti che, soprattutto in passato, grazie alla cortina impenetrabile del segreto bancario hanno messo al sicuro dal fisco i propri capitali.
Un mito (quasi) definitivamente tramontato a partire dal 29 agosto 2013 quando fu sancita la pace fiscale tra Stati Uniti e Svizzera, con la firma dell’accordo tra l’ambasciatore elvetico a Washington e il viceprocuratore generale del Dipartimento di giustizia Usa, che stabiliva una stretta collaborazione tra le banche e le autorità statunitensi. Un’intesa a cui ne seguirono tante altre finché dal settembre 2018, la Svizzera ha avviato, seguendo il Common Reporting Standard dell’OCSE, lo scambio automatico d’informazioni tra l’Amministrazione federale delle contribuzioni e le autorità fiscali estere di più di cento Paesi, riguardante le relazioni bancarie dei clienti non residenti. Tanto che oggi paradossalmente l’unico residuo di segreto bancario riguarda i cittadini svizzeri nei confronti del loro fisco.
Rimaneva in sospeso con l’Italia l’inserimento, da parte del nostro Paese, della Svizzera nella black list dei paradisi fiscali nel lontano 1999. Il provvedimento non è privo di conseguenze perché prevede l’inversione dell’onere della prova riguardo all’effettiva residenza fiscale dei cittadini italiani emigrati, in questo caso in Svizzera, nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate contesti loro guadagni che sarebbero soggetti alla tassazione in Italia. Per la nostra normativa tributaria chi emigra in un Paese black list è chiamato a provare che il suo trasferimento di residenza è effettivo e non legato a meccanismi di evasione fiscale. Con l’esclusione della Confederazione elvetica dalla black list, decade anche l’obbligo della prova sulle spalle del cittadino emigrante.
Nell’accordo rientra la ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera per evitare la doppia imposizione dei lavoratori frontalieri, che dovrebbe entrare in vigore a partire dal prossimo 1 gennaio. Attualmente il sistema prevedeva che le imposte da lavoro dipendente fossero pagate al 100% in Svizzera e poi venissero in parte restituite all’Italia attraverso un meccanismo molto complesso che ad esempio comprende i ristorni a beneficio dei Comuni di frontiera. Il nuovo meccanismo prevede una riduzione dell’imponibile alla fonte, che passa dal 100% al 70%, ma a fronte di una busta paga più sostanziosa i frontalieri dovranno presentare la dichiarazione dei redditi in Italia. Se ai nuovi frontalieri, ovvero quelli che verranno assunti oltreconfine una volta che l’accordo verrà siglato, si applicherà fin da subito questo nuovo sistema, per tutti gli altri che stanno già lavorando sono previste delle agevolazioni, sotto forma di franchigie che potranno essere utilizzate in sede di dichiarazione per abbattere l’imponibile.
Da questo punto di vista il Governo Meloni, sulla scia di quello precedente, sembra favorevole a introdurre un innalzamento della franchigia da 7.500 a 10mila euro, rendendo non imponibili gli assegni familiari. Per i frontalieri che invece percepiscono la pensione oltreconfine è prevista una tassazione al 5%. Rientra nell’intesa raggiunta ieri anche la proroga del telelavoro per i frontalieri fino al prossimo 30 giugno, dopo l’interruzione dal febbraio scorso per la mancata intesa tra Italia e Svizzera. Così sui frontalieri che per un paio d’anni hanno lavorato da casa per l’emergenza Covid ha rischiato di abbattersi la mannaia dell’Agenzia delle Entrate, pronta a una serie di controlli a tappeto in base al principio della violazione del "rientro giornaliero". In pratica per poter pagare le tasse solo in Svizzera è necessario che il frontaliere non lavori nemmeno un intero giorno dal proprio domicilio. Grazie all’intesa raggiunta tra i due Stati adesso questo rischio, almeno sino a fine giugno, è stato scongiurato.