Come avviene ogni anno (speriamo duri ancora per un po’) noi, amici del bar, abbiamo rispettato l’appuntamento solito dell’autunno inoltrato con la "busecca". Ed è stato così che un mezzogiorno abbiamo conquistato una vecchia trattoria, ancor un po’ avvolta da un’atmosfera d’altri tempi, per sederci a gustare "un bèll busecchinn". La trippa cucinata dalla "sciura Lisa" grande cuoca di cucina tradizionale lombarda.
Fuori della trattoria funzionano ancora un paio di viali delle bocce. Giunti un po’ prima, abbiamo approfittato per una breve partita. Ero anch’io della tenzone. Quando è toccato a me ho indirizzato la mia boccia verso il pallino ma sono andato distante almeno quattro metri. Ho tirato la seconda e il risultato è stato ancora peggiore. E così il mio socio mi ha gridato: "Te sett propri un giügadur del lèla". Ho riconosciuto che aveva ragione, ma l’ho pure ringraziato per avermi "ritirato qua" il modo di dire "del lèla" che non ascoltavo più da tanto tempo.
"Del lèla" sta per "uno di poco conto", insomma "una schiappa". Come racconta Gianfranco Scotti, suo dizionario del dialetto milanese, "del lèla" si riferisce al "princisbecco", materiale povero, che vale niente, ma che assomiglia all’oro e quindi usato per fare preziosi falsi. "Del lèla" viene però anche dal nome del dentista milanese Domenico Bonella che Carlo Porta cita più volte nelle sue opere chiamandolo "Lèlla" e bollandolo di "vera imperizia".
Secondo alcuni dizionari "del lèla" significa "stupido", "sciocco", "incapace", insomma uno che vale niente, proprio come me nel gioco delle bocce. Può essere che sia voce preesistente nel milanese usato dal Porta che poi il poeta abbia giocato sull’assonanza "lèla" e "Bonella", cognome dell’incapace cavadenti. Può però darsi proprio che il dialetto milanese abbia preso dalla spagnolo "lelo" (minchione, incapace), come ci racconta Luis de Melz (Luigi Manzoni di Melzo), vate del dialetto milanese. E così abbiamo raggiunto la quadra di questo benedetto "del lèla".