GABRIELE MORONI
Cronaca

Il metodo Cazzaniga: per l’accusa l’ex aiuto primario uccise anche un’altra persona. E chiede l’ergastolo bis

L’accusa chiede l’ergastolo in continuazione con le altre condanne per la morte di un anziano di Rovello Porro che fu curato in pronto soccorso

Leonardo Cazzaniga in aula tra i suoi legali

Rovello Porro (Como) – «Cazzaniga ha deciso di somministrare quei farmaci che avrebbero portato alla morte del paziente. Quindi responsabilità penale di Leonardo Cazzaniga. C’è un cumulo giuridico che non permette di andare oltre certe soglie. Questa è la pena". Il procuratore generale Francesca Nanni termina la sua requisitoria davanti alla seconda Corte d’Assise d’appello di Milano. La richiesta, anche se non esplicitata, è chiara: l’ex aiuto primario del pronto soccorso del presidio ospedaliero di Saronno è responsabile anche della morte di Domenico Brasca.

’uomo cessò di vivere a 82 anni, il 18 agosto del 2004, nella sua abitazione di Rovello Porro, dopo poche ore trascorse al pronto soccorso saronnese. Quindi l’accusa chiede l’ergastolo anche per il caso Brasca, in continuazione con le altre condanne. Una nuova condanna non cambierebbe la situazione del medico, che già sconta il massimo della pena (ergastolo con tre anni di isolamento diurno) per gli omicidi di otto pazienti in corsia e per due morti in ambito familiare: Massimo e Luciano Guerra, rispettivamente marito e suocero dell’infermiera Laura Taroni, all’epoca amante di Cazzaniga.

Morti, sottolinea la rappresentante dell’accusa, provocate come quella di Brasca da un letale combinato di sedativi: Midazolam, Promazina, Clorpromazina. Era il cosiddetto "protocollo Cazzaniga". "Brasca - dice l’avvocato Fabio Falcetta, legale di parte civile - supera la crisi respiratoria, parla e scherza con le figlie, vorrebbe tornare a casa. Quando viene preso in gestione di Cazzaniga sta complessivamente bene". Continua, dopo sei anni di battaglie processuali, lo sforzo dei difensori di Cazzaniga, gli avvocati bresciani Ennio Buffoli e Andrea Pezzangora, per sostenere che non esisteva da parte del loro assistito alcuna volontà di sopprimere delle vite ma solo un forte desiderio di lenire le sofferenze di malati condannati da patologie senza speranza.

"Brasca - dice Pezzangora - è giunto al pronto soccorso alle otto del mattino quando aveva già innestato il processo di morte che sarebbe terminato alle undici. Sarebbe morto comunque, con la differenza che senza i farmaci avrebbe sofferto".