Sempre meno neve e sempre più in alto sulle montagne lombarde, ma una valanga di soldi pubblici per piste da sci, skilift, seggiovie e funivie nonché per nuovi bacini e impianti di innevamento artificiale. Lo denunciano gli attivisti di Legambiente nel loro ultimo rapporto Nevediversa. Parlano di “accanimento terapeutico“. Il manto nevoso sulle Alpi in Lombardia negli ultimi sei secoli non è stato mai tanto effimero e la sua durata si è accorciata di un mese negli ultimi cent’anni per le temperature aumentate di due gradi. Senza neve ci sono in quota 21 alberghi, ex colonie, hotel e rifugi chiusi diventati fatiscenti.
Sono stati inoltre spenti almeno 23 impianti: a Lizzola, Zambla Alta, Pà Spiss in Valcanale, Monte Arera, Pianone a Clusone, Valcava all’Alpe Pezzeda. E ancora: lo skilift del San Primo a Bellagio entrato in funzione alla fine degli anni ‘50 e dismesso nel 2013 ma che qualcuno vorrebbe riesumare, gli impianti del Monte Crocione, Pian del Tivano, Monte Greggio in Valle Intelvi. Oppure sul Monte Tesoro a Pialeral, al Cainallo, Paglio, i Resinelli nel Lecchese; Cima Coletta nel Pavese; Argona in Valdidentro e a Chiesa Valmalenco; a Poggio Sant’Esla a Laveno; sul Monte Farno, i Colli di San Fermo, Teveno e Peghera nella Bergamasca.
Alcuni impianti hanno funzionato per diversi decenni, altri solo pochi anni e non tutti sono stati smantellati. Il vero simbolo di questo “accanimento terapeutico“ sono però gli impianti di Montecampione, nel Bresciano, dismessi dal 2010 dopo nemmeno quarant’anni di utilizzo, per riesumare i quali la Regione ha stanziato 13 milioni. Sono solo alcune delle risorse pubbliche destinate alle località sciistiche: nel 2019 sono stati stanziati 11 milioni seguiti da altri 7 e da ulteriori 3 per il bando comprensori sciistici. Ci sono poi i fondi per le Olimpiadi invernali del 2026: 25 milioni per Livigno, 8 milioni per Bormio, 25 milioni per 10 chilometri di nuove piste tra il Tonale e l’Alta Valtellina. Per i compressori di Lecco, Sondrio, Brescia e Bergamo sono stati stanziati 50 milioni.
“I numeri in aumento degli impianti dismessi, aperti a singhiozzo o smantellati, rappresentano l’ennesimo campanello d’allarme di un turismo montano invernale sempre più in crisi per via del clima – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – È fondamentale adottare un modello più sostenibile, che vada oltre la monocultura dello sci in pista".
“Non c’è alcuna contestazione nei confronti degli operatori del settore – aggiunge Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente – Un inverno senza neve per questo mondo rischia di diventare un inverno senza economia. Occorre un processo di transizione".