PAOLA PIOPPI
Cronaca

Massimo Riella, la primula rossa. Cibo, casa e carte false per farlo fuggire: nei guai il clan di amici

Carte d’identità alterate, messaggi dai parenti, alloggi in Italia e all’estero la Procura di Como chiude l’indagine sulla rete di almeno sei persone La spedizione di un documento a Podgorica fa saltare la copertura

Massimo Riella sui monti del Lario dove aveva trovato rifugio

Massimo Riella sui monti del Lario dove aveva trovato rifugio

Gravedona ed Uniti (Como) – Qualcuno gli ha fornito cibo, altri un alloggio sicuro, altri ancora si sono attivati per procurargli il documento falso per scappare dall’Italia, e i contatti in Albania e Montenegro. Tutti insieme, lo scorso anno, sono riusciti a garantire a Massimo Riella più di quattro mesi di latitanza e la fuga all’estero, interrotta solo dall’irruzione dell’Interpol nel suo rifugio di Podgorica, la sera del 16 luglio di un anno fa. I protagonisti di quella fedele rete di soccorso al fuggiasco sarebbero almeno sei: nei loro confronti, il sostituto procuratore di Como Alessandra Bellù ha formalizzato l’accusa di favoreggiamento personale, notificando la conclusione delle indagini svolte dalla polizia penitenziaria e dai carabinieri di Menaggio, durante la latitanza del ricercato.

Il principale referente di Riella viene ritenuto Oscar Scaramella, 49 anni di Novate Mezzola: sarebbe stato lui a mantenere i contatti con il cinquantenne detenuto per rapina, e i familiari, a effettuare consegne anche di denaro, e anche ad attivarsi per trovare qualcuno che fornisse un documento falso utile per l’espatrio. Non solo quello contraffatto e compilato, a nome di un inesistente Lorenzo Vitalio, ma anche uno in bianco, da utilizzare in caso di imprevisti.

Roberto De Carli , 55 anni di Montemezzo e Giuseppe Livio Taboni, 57 anni di Livo, si sarebbero invece attivati incontrandolo, portandogli cibo e generi di prima necessità, dandogli dei passaggi in auto e mantenendo i contatti con i familiari. Anche da Catalina Bianca Mariean, romena di 44 anni residente a Bollate, aveva avuto alloggio, e la donna si era anche inizialmente attivata per fargli ottenere un documento falso, accordandosi per sapere quali dati inserire.

La decisione di lasciare l’Italia, era giunta a luglio, dopo oltre tre mesi di fuga, avvenuta il 12 marzo dal cimitero di Brenzio, dove era in visita alla tomba della madre scortato dalla polizia penitenziaria. Infine i referenti che lo avevano aiutato nella parentesi montenegrina: Zorica Stanojevic, serba di 58 anni residente a Carnate e Gojko Perovic, montenegrino di 59 anni domiciliato a Milano. La donna gli avrebbe trovato alloggio all’estero da amici e parenti, tra Croazia e Albania, e l’8 luglio lo aveva indirizzato da un amico in Montenegro che parlava italiano. Il 15 luglio la Stanojevic avrebbe quindi avuto da Perovic, incaricato del ritiro, il documento falso, con la foto fornita dallo stesso Riella, per spedirlo in Podgorica con un corriere. Ma il giorno successivo, il 16 luglio, la sua latitanza era finita.

Detenuto a Opera, il cinquantenne di Brenzio è ora a processo davanti al Tribunale Collegiale di Como, con l’accusa di aver rapinato e malmenato a ottobre 2021 due anziani coniugi, per impossessarsi di 500 euro incassati dalla vendita di una mucca. Ma Riella nega, convinto di dimostrare la sua innocenza.