Un anno fa era stato arrestato, dopo un gesto che aveva spinto i carabinieri a mettere in sicurezza madre e figlio e far scattare la misura cautelare: aveva puntato una pistola alla testa della sua compagna, l’arma che aveva in dotazione per il suo lavoro di guardia giurata. Ora il quarantanovenne di Mariano Comense è stato condannato a 3 anni e 8 mesi di reclusione, al termine del processo che si è svolto davanti al Tribunale Collegiale di Como, dove l’imputato ha voluto discutere le accuse che gli erano state rivolte: maltrattamenti in famiglia, violenza privata e violazione nella detenzione delle armi. La grave minaccia era avvenuta al termine di una lite con la compagna, dentro casa. L’ennesima in un rapporto diventato ormai difficile, ma quel giorno le minacce avevano superato ogni limite, con lui incurante della presenza del loro bimbo di soli cinque anni: l’uomo aveva estratto l’arma e l’aveva rivolta alla testa della sua compagna. La quarantaseienne si era rivolta ai carabinieri di Mariano Comense, sporgendo denuncia e chiedendo aiuto ma anche raccontando quasi sei anni di maltrattamenti, denigrazioni e botte, iniziati quando era andata a convivere con l’imputato, dal quale aveva avuto un bimbo.
Come prima cosa i militari, in accordo con il magistrato di turno della Procura di Como, avevano messo in sicurezza la donna e il bambino, trasferendoli in una comunità protetta. Avevano poi proceduto a sequestrare l’arma, la pistola regolarmente detenuta che lui utilizzava per lavoro, di cui aveva però fatto un uso illecito.
Durante la perquisizione erano stati trovati anche tre fucili e altre due pistole, tutte armi regolarmente detenute ma sottoposte a sequestro cautelativo, come prevede in questi casi il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Dalle indagini ulteriori erano emerse condotte di maltrattamento continuo avvenute durante la convivenza, tra cui percosse, violenze psicologiche, minacce continue spesso in presenza del bimbo.
Paola Pioppi