
L'aula del tribunale di Como
Cantù (Como), 20 aprile 2019 - I pestaggi, le aggressioni, le innumerevoli consumazioni non pagate nei locali pubblici avvenute tra l’autunno 2015 e il 2016 in piazza Garibaldi a Cantù, sono condotte di ‘ndrangheta. Il Tribunale Collegiale di Como ha confermato le accuse a carico dei nove imputati portati a processo dalla Dda di Milano, al termine delle indagini dei carabinieri di Cantù, accogliendo l’impianto accusatorio del pm Sara Ombra, e modificando solo leggermente le quantificazioni delle condanne. Per Giuseppe Morabito, 31 anni, residenza a Cantù, la pena più alta: 18 anni di carcere. Era accusato di aver creato uno stato di terrore con l’obiettivo di ottenere la gestione dei servizi di sicurezza nei locali. Pene elevate anche per gli altri due imputati a cui era contestata l’associazione mafiosa: 16 anni e 6 mesi per Domenico Staiti, 44 anni, 16 anni e 4 mesi per Rocco Depretis, 22 anni, tutti residenti a Cantù.
Gli altri sei imputati erano chiamati a processo contestando la modalità mafiosa delle loro condotte, confermata dai giudici del Collegio: Valeria Costi, Elisabetta De Benedetto, Cristiana Caruso. Per Antonio Manno, 22 anni di Cantù 9 anni e 8 mesi, che si aggiungono ai 12 anni già rimediato per il tentato omicidio di Antonio Giacalone, avvenuto nell’estate 2016. Stessa pena di Valerio Torzillo, 23 anni di Cermenate, mentre per Manuel Zuccarello, 28 anni di Cermenate, 8 anni e 8 mesi di reclusione, 7 anni e 8 mesi per Jacopo Duzioni, 25 anni di Cermenate. Per questi ultimi tre imputati, il Tribunale ha disposto gli arresti domiciliari. Infine 7 anni e 8 mesi per Andrea Scordo, 32 anni di Africo e 7 anni per Luca Di Bella, 27 anni di Vertemate con Minoprio, unico che già si trovava ai domiciliari. Morabito, Depretis, Zuccarello, Manno e Scordo sono stati condannati anche al pagamento di una provvisionale di 10mila euro a favore dell’unica parte civile costituita, un giovane che era stato picchiato dal gruppo, che potrà procedere con una ulteriore richiesta risarcitoria in sede civile.
«Siamo soddisfatti – ha commentato il pm Sara Ombra -. Abbiamo avuto conferma delle nostre indagini, anche se si tratta solo di un primo grado». Alla lettura della sentenza era presente anche Monica Forte, presidente della Commissione Regionale Antimafia: «Trovo che il pm abbia ottimamente spiegato l’ambiente in cui questi reati sono stati commessi – ha detto – in contrasto con la tentazione della politica di minimizzare. Questa sentenza pone l’ennesimo accento sulla mancata presenza delle istituzioni al processo: sarebbe stato un segnale forte». «La Procura Antimafia aveva visto giusto fin dall'inizio dell'indagine, partita con l'arresto di alcuni imputati, parlando di fatti di mafia. A Cantù gli 'ndranghetisti erano liberi di scorrazzare nella piazza centrale della città, senza che nessuno abbia mai denunciato i fatti». Il Circolo Ambiente Ilaria Alpi, ha subito commentato la sentenza di Cantù: «Come associazione che da anni si occupa di antimafia, vogliamo sottolineare che ora nessuno può permettersi di dire che Cantù è un isola felice. Secondo noi questa sentenza deve dare la scossa affinché la cittadinanza si svegli, inizi a lottare contro la presenza della 'ndrangheta nel nostro territorio. Serve grande senso civico e più coraggio».