PAOLA PIOPPI
Cronaca

Droga, usura, affari sporchi: le mani della ‘ndrangheta sul Comasco. Smantellati due gruppi

Blitz all’alba con trenta arresti tra Erbese e Bassa. Di nuovo in manette lo storico boss Luigi Vona: il narcotraffico serviva a finanziare i clan e le infiltrazioni nell’economia legale. L’organizzazione prevedeva pure uno stipendio fisso agli affiliati

Il questore di Como, Marco Valì, illustra i dettagli dell'inchiesta

Il questore di Como, Marco Valì, illustra i dettagli dell'inchiesta

Como – Droga per garantirsi ingenti guadagni, ma anche per rimarcare, ogni giorno, il potere esercitato sul territorio. Ricchezze da reinvestire, potere da esibire e da far valere. Armi a disposizione e una sempre maggiore familiarità con le nuove modalità di infiltrazione economiche tipiche delle consorterie calabresi: false fatturazioni, riciclaggio, aggiudicazione illecita di finanziamenti pubblici, in aggiunta a estorsioni e usura. Dall’indagine svolta dalla Squadra Mobile di Como e dallo Sco, coordinata dalla Dda di Milano, emerge una fotografia delle attuali modalità criminali associative in cui non manca nessun dettaglio, nemmeno i legami inossidabili con chi detiene storicamente il potere criminale.

Ieri mattina sono state eseguite 30 misure cautelari, di cui 25 in carcere, a carico di soggetti riconducibili a due diversi gruppi. Il primo attivo nella zona dell’Erbese, e concentrato quasi esclusivamente sullo smercio di droga, con una rilevante disponibilità di armi, monitorato a partire dal 2020: fino a 200 cessioni al giorno, un’organizzazione che faceva riferimento a Luigi Vona, 71 anni di Valbrona, condannato a 10 anni nell’operazione Crimine-Infinito del 2010 in quanto riconosciuto capo della locale di ‘ndrangheta di Canzo, e ora in libertà vigilata. Ancora oggi il punto di riferimento per qualunque attività e criticità. Capace di mettere ordine negli sconfinamenti territoriali. Accanto a lui, Vincenzo Milazzo 38 anni di Canzo, vero imprenditore dello smercio di droga, che si garantiva la fedeltà dei suoi "operai" attraverso lo "stipendio fisso", ma anche la difesa legale in caso di arresto e sostegno economico alle famiglie: "C’è chi guadagna 1.500, chi 3.000 perché lavora di più, e al momento che sono in carcere gli garantisco che la famiglia sta bene".

Dal giro di approvvigionamento e smercio che ruotava attorno al gruppo erbese, spuntano nomi più che noti nell’ambiente: Edmond Como, 49 anni albanese residente nel Lecchese, locale di Erba in Crimine Infinito, e ora in carcere con l’ergastolo per l’omicidio di un connazionale. Assieme a lui, Michele Oppedisano, 55 anni di Bosisio Parini non colpito da misure e già presente in Infinito con la locale di Erba, e il figlio Pasquale, 24 anni, finito in carcere. O ancora James Canali, 48 anni di Calco, alle spalle una condanna per omicidio nel 2006, e reati di droga negli ultimi anni.

Nelle costanti tensioni tra i due gruppi, in un summit del marzo 2020, viene deciso un piano di spartizione del territorio, con una linea immaginaria che passa dal Lago del Segrino, e la suddivisione degli utili, dopo aver "ragionato con Luigi", riferito a Vona. Accordo che tuttavia non stempera le tensioni: essere venduto ai carabinieri dagli Oppedisano, dice Milazzo a maggio del 2020, è di fatto "l’unica cosa che mi può preoccupare". 

La seconda associazione, che parte ancora dallo smercio di droga, fa capo a Marco Bono, 49 anni di Cadorago, punto di riferimento di un traffico che aveva come base logistica il distributore di benzina Get Oil di Cislago, dove avvenivano le cessioni di droga, simulando pagamenti del carburante. Ma anche luogo di stoccaggio, dove passano i soggetti che acquistavano partite da rivendere, come Pasquale Oppedisano. Allo stesso Bono, vengono attribuiti reati economici, come l’acquisto fraudolento di carburante, l’ottenimento di fidi rimasti insoluti, il riciclaggio. Ma anche l’usura ai danni di imprenditori che avevano bisogno di liquidità non ottenuta da canali legali, con tassi che potevano raggiungere il 10 per cento a settimana. Con uno di loro, la situazione precipita fino al punto di "spaccarlo", con un manganello per un debito di 244mila euro. Infine le intestazioni fittizie di beni, per accedere a fondi da centinaia di migliaia di euro destinati alle imprese, sfociati anche in un sequestro preventivo da 500mila euro.