Como, 18 novembre 2021 - Riunioni in Svizzera per sottrarsi alle intercettazioni, e un plauso alla legislazione elvetica, Paese dove "si sta bene", perché non c’è il reato di associazione mafiosa, mentre in Italia "ci hanno rovinati". Dall’indagine della Dda di Milano che martedì mattina ha portato al fermo di 54 persone, emerge chiaramente l’intenzione di spostarsi oltreconfine per lavorare con maggiore tranquillità. Senza immaginare che nel pool costituito nel 2019 c’era anche la polizia svizzera, consentendo così il monitoraggio degli indagati mentre portavano avanti le attività di traffico di droga e armi, e il fermo di quattro indagato ora in attesa di estradizione. "Gli indagati – ha spiegato il pm Pasquale Addesso – parlano anche di un sistema sanzionatorio meno severo in Svizzera". Una sorta di "locale europea della ‘ndrangheta", con mire espansionistiche verso la Svizzera e, in particolare, verso il Cantone San Gallo, divenuto una vera e propria base logistica per alcuni indagati che vi si sono stabilmente insediati, dedicandosi prevalentemente ai traffici di sostanza stupefacente proveniente dall’Italia, e provvedendo allo stesso tempo a radicarsi e ramificarsi, per costituire nuove strutture territoriali di ‘ndrangheta. Perché in questa organizzazione 2.0, dove le estorsioni stanno lasciando il posto alle infiltrazioni nelle cooperative, armi e stupefacenti continuano a essere una certezza per l’approvvigionamento di liquidità. Del traffico di cocaina sull’asse italo-svizzero, sono ora accusati come capi e promotori Michelangelo Larosa, 50 anni, detto “Bocconcino”, già condannato nell’indagine Insubria e scarcerato a ottobre 2019 quando, secondo le risultanze di indagine, avrebbe "subito ripreso la sua attività ‘ndranghetista" insieme a Pasquale Larosa, 28 anni, figlio del “Mammasantissima”, Giuseppe Larosa, detto “Peppe la Mucca”, detenuto a Sassari. Entrambi si sono stabiliti in Svizzera da dove organizzano “mangiate” in Calabria, Lombardia e Zurigo con soggetti ritenuti sodali o appartenenti alle altre cosche, "promuovendo e coordinando il traffico di cocaina sull’asse italo-svizzero insieme agli altri organici alla sua famiglia mafiosa". Attività della quale è ora accusato anche Tommaso Alessi, 44 anni domiciliato in Canton San Gallo, uomo di fiducia di Pasquale Larosa. Quest’ultimo avrebbe gestito le assunzioni fittizie in territorio svizzero mentre, fino alla data del suo arresto, avvenuto a giugno dello scorso anno, "gestiva direttamente l’imponente traffico di stupefacente, si prodigava per acquistare i telefonici cellulari criptati che consegnava allo zio Michelangelo Larosa".
CronacaLa 'ndrangheta sceglie la Svizzera: "Qui si sta bene, in Italia siamo rovinati"