Como, 4 maggio 2015 - Non è facile finire nei guai passando dove l’acqua è bassa, ma a volte l’ostinazione di volerlo fare può costare caro. Ne sanno qualcosa a Como dove, per il settimo anno di fila, i turisti in arrivo da tutto il mondo si troveranno di fronte il cantiere infinito delle paratie. Le briglie alla piena del lago probabilmente più care al mondo, costate ancor prima di finire 32 milioni di euro, oltre il doppio rispetto al preventivo iniziale. Si sperava nel miracolo di Expo almeno per la ripresa del cantiere, fermo da oltre due anni e mezzo, ma molto probabilmente occorrerà attendere fino a fine maggio. Un’onta in quella che fino a qualche tempo fa si considerava la più Svizzera tra le città italiane, non solo per una questione di confine. Quel cantiere inaugurato l’8 gennaio del 2008 doveva eliminare l’acqua alta e invece ha tolto certezze, finendo per far odiare ai comaschi la cosa più preziosa che hanno: il loro lago.
Pensare che da queste parti alle piene del Lario ci sono abituati: la prima censita risale al 1431 e due secoli più tardi uno storico racconta che «piovve tanto che il lago crebbe fino alla Chiesa Maggiore e per la città si andava in barca». Nel 1700 l’acqua del lago arrivo a lambire l’organo del Duomo mentre nel XX secolo le piene registrate sono state ventuno, compresa quella record del luglio 1987, quando di venerdì 17, piovvero sulla Valtellina ben 305 millimetri di acqua, ovvero un quarto di quelle registrate in un anno intero. Si gonfiò a dismisura l’Adda, affluente del Lario, che spazzò via ponti e paesi interi lungo il suo corso, con il risultato che a Como l’acqua salì a 265 centimetri sopra lo zero idrometrico, ovvero 145 centimetri al di sopra della soglia di esondazione di Piazza Cavour. Fu allora che anche Como si meritò il titolo di città alluvionata, con un posto nella cosiddetta «Legge Valtellina», che prevedeva finanziamenti in cambio di interventi di difesa idraulica del territorio. Così si inventarono le chiuse: tre enormi vasconi di cemento armato in grado di contenere le acque in eccesso del lago e una serie di opere di sbarramento per fermare l’acqua alta.
Nessuno si accorse che all’interno del progetto era prevista anche la costruzione di un muro, alto venticinque centimetri, che sarebbe dovuto correre lungo tutto la passeggiata nascondendo in parte la vista del primo bacino del Lario. Iniziarono i lavori e di fronte a quell’ obbrobrio i comaschi insorsero, come il loro lago quando si arrabbia. Si era nell’autunno del 2009 e l’allora sindaco Stefano Bruni dovette chiedere una revisione del progetto in Regione, per attenuare l’impatto dell’opera. Si decise di inserire degli sbarramenti mobili, che sarebbero stati montati solo in caso di piena. Il cantiere subì il primo di una lunga serie di stop che, nel corso degli anni, portarono il progetto ad avere costi faraonici. Tra richieste di variante, perizie e controperizie, contestazioni il conto è lievitato da 13 a 32 milioni di euro e rimane ancora aperta una vertenza con la veneziana Sacaim, finita nell’inchiesta per lo scandalo del Mose di Venezia, per altri undici milioni di euro. Così la passeggiata a lago rischierebbe di costare qualcosa come venti milioni di euro al chilometro, roba da far impallidire la Salerno-Reggio Calabria. Impossibile tornare indietro: metà delle opere sono state già realizzate, anche se in larga parte andranno riviste perché il Lario ha dimostrato di essere molto vendicativo. A rovinare i piani ci ha infatti pensato il fenomeno della subsidenza, il progressivo abbassamento della faglia in prossimità di piazza Cavour e della passeggiata. Un fenomeno correlato con la costruzione delle paratie, che per il loro peso eccessivo hanno fatto sprofondare i palazzi del lungolago. «Meglio tenersi l’acqua alta», sospirano i comaschi.