BEATRICE RASPA
Cronaca

Rifiuti in odore di mazzette. Due degli arrestati negano

Il presunto sistema corruttivo dell’azienda che si occupa di smaltimento. Brescia, si sono svolti davanti al giudice gli interrogatori di garanzia.

Rifiuti in odore di mazzette. Due degli arrestati negano

Interrogatori di garanzia ieri per i quattro arrestati nell’ambito del procedimento per i presunti appalti truccati da parte dell’azienda Valcart di Rogno (Bergamo), specializzata in smaltimento di rifiuti per l’accusa in mano ai fratelli bresciani Sergio e Pompeo Vincenzo Bava,54 e 56 anni, la quale per accaparrarsi bandi per 12 milioni avrebbe stretto un patto corruttivo con il funzionario di Enel E-distribuzione Antonio Marcone, 52enne di Novara, con la complicità dell’hacker foggiano Paolo Giannetta.

Comparsi davanti al gip, Gaia Sorrentino, Sergio Bava e Marcone (questi è ai domiciliari, ndr) si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Al contrario Vincenzo Pompeo Bava e Giannetta, assistiti all’avvocato Michele Sodrio - Foro di Foggia - che ha chiesto per loro un ammorbidimento della misura, hanno risposto diffusamente alle domande. Ai due è contestata l’associazione a delinquere finalizzata all’accesso abusivo di sistemi informatici, una frode fiscale per quasi 4 milioni e una omessa dichiarazione di Iva per 400mila euro. Per la pm Marzia Aliatis e la Finanza Sergio Bava era in combutta con il funzionario Enel il quale, stipendiato con 5mila euro mensili, passava informazioni sui bandi, si prodigava per sponsorizzare la società a discapito delle concorrenti, predisponeva gare ad hoc.

Per il disturbo Marcone avrebbe incassato almeno 70mila euro in mazzette. Mazzette consegnate durante 4 incontri al casello autostradale di Novara Ovest. Per avere in anteprima notizie sui concorrenti Sergio Bava avrebbe anche fatto magheggi con il fratello e con Giannetta -questa la tesi accusatoria - operando accessi abusivi al sistema informatico di Terna, altra società pubblica, colosso dell’alta tensione. Vincenzo Pompeo Bava e il presunto hacker ieri hanno negato gli addebiti - anche quelli di natura fiscale - sostenendo di non aver portato mai a termine alcun accesso alle piattaforme di Terna, impenetrabili, ma di aver fatto credere a Sergio Bava di esserci riusciti. Obiettivo: in buona sostanza truffarlo, inducendolo a ritenere cose false, ricavandone in cambio da lui 90mila euro.