Durante la sua fuga e latitanza, Massimo Riella era stato aiutato da una quantità di amici e conoscenti, che gli avevano garantito supporto in svariati modi. Persino procurandogli i documenti falsi necessari a lasciare l’Italia. La sua latitanza era iniziata sabato 12 marzo 2022, quando il cinquantenne di Gravedona era fuggito dal cimitero di Brenzio, dove la polizia penitenziaria lo aveva accompagnato in visita alla tomba della madre. Ieri mattina a Como, è iniziato il processo a carico delle prime due persone che, secondo la Procura di Como, gli avrebbero fornito aiuto. Due conoscenti di Dosso del Liro, Alessandro Ieri, 52 anni e la moglie Romina Pisolo, 45 anni, che ora devono rispondere di favoreggiamento personale.
L’ipotesi è di averlo accolto in casa, rifocillato e ospitato, e di avergli messo a disposizione un telefono cellulare. Un’accusa dalla quale i due coniugi, difesi dall’avvocato Arnaldo Giudici, hanno deciso di difendersi, sostenendo che non sapevano che Riella fosse evaso. Dalle 14.45 alle 15 del 12 marzo 2022, il tempo in cui è rimasto a casa loro, Riella ha bevuto un caffè, utilizzato il loro telefono cellulare per chiamare un’amica, che non aveva risposto, e mangiato della frutta trovata già sul tavolo della cucina. Quando era arrivato a aveva detto in dialetto "sono scappato", ma Ieri e la Pisolo dicono di non averlo inteso nel senso di una evasione, bensì come una frase generica. Poi si era allontanato, sparendo fino a luglio, quando era stato catturato in Montenegro dopo quattro mesi di latitanza.
I due imputati hanno quindi deciso di procedere con rito ordinario, nel processo che ieri si è aperto con le produzioni preliminari, e che è stato rinviato per ascoltare i primi testimoni.