PAOLA PIOPPI
Cronaca

Saverio Morabito e la stagione dei sequestri: “Una gara fra due gruppi, ecco come funzionavano i rapimenti”

Al processo Mazzotti la testimonianza del collaboratore di giustizia: “Il modus operandi era sempre lo stesso, si agiva in tre fasi”

La discarica di Galliate dove fu ritrovato il corpo di Cristina Mazzotti

La discarica di Galliate dove fu ritrovato il corpo di Cristina Mazzotti

Eupilio (Como) - Del sequestro di Cristina Mazzotti non ha mai saputo nulla, “solo quello che ho letto sui giornali”, precisa, ma Saverio Morabito, 72 anni, collaboratore di giustizia originario di Platì, la stagione dei sequestri l’aveva vissuta intensamente.

Sentito ieri come testimone durante la Corte d’Assise in cui sono imputati i tre uomini ritenuti gli esecutori materiali del rapimento della diciottenne di Eupilio, avvenuto a luglio 1975, ha raccontato come avveniva la gestione degli ostaggi, e la suddivisione dei ruoli che aveva caratterizzato la “gara tra i due gruppi su chi rapiva più persone”, Platì e San Luca.

“Ho iniziato a delinquere a 18 anni – ha raccontato – e nel ’77 ho iniziato con i sequestri di persona”. Elenca una quantità di nomi: Giuseppe Scalari, Angela Galli, Evelina Cattaneo e altri fino a Cesare Casella. “Il modus operandi era sempre lo stesso: l’operazione avveniva in tre fasi. Il gruppo che rapiva l’ostaggio, quello che lo custodiva e quello che conduceva le trattative e ritirava i soldi. Nel gruppo che entrava in azione c’ero sempre io, mi consideravano un elemento trainante. A volte saliva anche qualcuno da Platì, per fare entrare una parte del riscatto nella ‘ndrina. Un po’ tutti si bagnavano il becco”.

La fase più delicata era quella del rapimento: “Gli altri due gruppi agivano più nell’ombra – prosegue Morabito – poi il riscatto veniva diviso in tre quote. Nei primi due o tre giorni si cercava un box dove tenere il rapito, che poi veniva consegnato ai custodi, un paio di persone mandate a prelevarlo”. Anche per scegliere i ruoli, c’erano delle regole: “Il gruppo dell’azione era ormai consolidato, io c’ero sempre. L’autista era sempre quasi lo stesso e il rinforzo era qualcuno del posto o che arrivava dalla Calabria. L’entourage degli altri non lo conosco. Una mente vera e propria non c’era. Spesso il rapimento partiva da una dritta: ci veniva indicato chi rapire con informazioni sulla situazione economica della famiglia. Le decisioni le prendevamo direttamente noi”.

Infine la logistica: “Tutta la situazione veniva gestita a compartimenti stagni, così che rimanesse sicura il più possibile. Uno solo di noi conosceva uno solo che conduceva le trattative, e uno solo di noi conosceva chi custodiva l’ostaggio”.