
Giuseppe Calabrò, 74 anni, parla al processo per il sequestro di Cristina Mazzotti
EUPILIO – “Nel 1975 vivevo tra la Calabria e Torino, non frequentavo Milano né la Lombardia”. Giuseppe Calabrò, 74 anni, imputato del processo che si è riaperto 49 anni dopo la tragica morte di Cristina Mazzotti, rapita la sera del 1° luglio 1975 a Eupilio, e mai più tornata a casa, mercoledì ha reso spontanee dichiarazioni davanti alla Corte d’Assise di Como, puntualizzando una serie di circostanze emerse durante le testimonianze degli inquirenti e dei collaboratori di giustizia ascoltate in aula in questi ultimi mesi.
A processo ci sono anche Demetrio Latella, 70 anni e Antonio Talia, 73 anni, ritenuti assieme a lui gli esecutori materiali del sequestro della diciottenne, subito consegnata alla banda di carcerieri che ne causò la morte per eccesso di sedativi.
È invece uscito dal procedimento Giuseppe Morabito, morto a dicembre. Calabrò è il solo che ha deciso di far sentire la sua voce in aula. “A Milano – ha proseguito – dove fui arrestato a giugno 1977, ero arrivato direttamente dalla Calabria meno di un mese prima. Avevo una carta di identità avuta da un noto falsario di Torino. A Milano non conoscevo nessuno, tranne un mio compaesano di San Luca, e non conoscevo nemmeno la città”.
Calabrò, con estrema puntualità, ha citato passaggi delle testimonianze. “Se mi chiedete se nel 1975 avessi mai conosciuto o frequentato Demetrio Latella, Antonio Talia o Giuseppe Morabito, la mia risposta è fermamente no. Questo non sono solo io a dirlo, ma anche l’ispettore Ciman nella sua deposizione”.
Dopo l’arresto del ’77, per il quale fu assolto, Calabrò tornò a San Luca, per essere nuovamente arrestato due anni dopo: “Feci carcerazione preventiva a Messina, Reggio Calabria e Locri fino al 1981, quando fui assolto e liberato. In quel periodo il collaboratore Antonino Cuzzola, che non ho mai conosciuto, non avrebbe potuto incontrarmi nel carcere di Alessandria”.
Allo stesso modo, Calabrò ha smentito altre affermazioni, per poi entrare nel merito del suo riconoscimento da parte degli amici che erano con Cristina quella sera. “Sulla Mini Minor sono state trovate tre impronte: una di Galli, una di Latella e la terza mai identificata, ma non mia. I due amici, dopo più di quarant’anni, mi hanno indicato come l’uomo sul sedile anteriore destro, ma all’epoca era già stato riconosciuto e non ero io: aveva un naso grosso, molto particolare e ricurvo. Guardatemi e giudicate voi se il mio naso si avvicina alla descrizione”.