Erba (Como), 30 aprile 2019 - «La corte d'Assise di Como rigetta le istanze, e dispone che, divenuto definitivo il presente provvedimento, venga data esecuzione alla confisca e alla distruzione dei corpi di reato ancora presenti nell’Ufficio». Poche righe in cui è racchiuso l’epilogo dell’ennesima iniziativa della difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, alla ricerca di un qualsiasi appiglio per far riconsiderare l’irrevocabile condanna all’ergastolo per i quattro omicidi di cui si sono resi responsabili l’11 dicembre 2006 in via Diaz a Erba. La sentenza dei giudici di Como, in applicazione dell’orientamento della Cassazione su ciò che attiene le attività di investigazione difensiva, ribadisce infatti che non può essere ammessa una finalità «meramente esplorativa» nella richiesta di rinnovare l’istruttoria, ma che, allo stesso tempo, non possono essere consentite «quelle investigazioni che appaiono all’evidenza superflue o inidonee a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio».
Recependo anche il parere del pubblico ministero Massimo Astori, la Corte d’Assise di Como ha quindi rigettato su tutta la linea le tre istanze depositate tra fine gennaio e inizio marzo, con cui si chiedeva l’autorizzazione a procedere ad accertamenti tecnici non ripetibili su campioni biologici per isolare ipotetici «profili genetici non rilevati durante le indagini espletate nel 2007», tra cui margini ungueali delle vittime, tracce ematiche e un accendino trovato sul pianerottolo. Era stato inoltre richiesto l’accesso ai server in cui sono depositati i file originali delle intercettazioni ambientali. Ma i giudici comaschi hanno sottolineato che in nessuna delle loro istanze, i difensori hanno dedotto «la decisività dell’atto di indagine richiesto, e l’utilità che si mira a conseguire».
Infatti la prima istanza era già stata in parte presentata alla Corte d’Appello di Brescia, che aveva dichiarato inammissibile la richiesta di incidente probatorio, e nella parte restante è stata ritenuta «del tutto immotivata». Per l’accesso ai server, è stato fatto notare dallo stesso pm che i dati in questione sono nella disponibilità della Procura, e non della compagnia a cui viene delegato il servizio, e comunque «i difensori hanno già dato atto di essere in possesso di copia delle registrazioni». Già il 27 febbraio, le difese avevano potuto visionare a Como alcuni corpi di reato, riservandosi nuove istanze di accertamenti tecnici. «Tra questi – sottolinea il pubblico ministero Astori - il telefonino Motorola, appartenuto pacificamente a Raffaella Castagna, nella cui memoria sono stati rinvenuti messaggi tra lei e il marito, Azouz Marzouk, nonostante quest’ultimo abbia dichiarato non trattarsi del telefono della moglie davanti alla Corte di Appello di Brescia».