EMILIO
Cronaca

Uno sguardo clemente al “cioccheté“

L'autore riflette sul tema dell'ubriachezza, citando episodi storici e mitologici legati al consumo di alcol. Conclude che bisogna tollerare e guardare con simpatia chi mostra segni di eccesso, senza giudizio.

Uno sguardo clemente al “cioccheté“

L'autore riflette sul tema dell'ubriachezza, citando episodi storici e mitologici legati al consumo di alcol. Conclude che bisogna tollerare e guardare con simpatia chi mostra segni di eccesso, senza giudizio.

Magni

Seduti ai tavolini del bar, uno dei giorni di agosto in cui si moriva dal caldo, abbiamo visto passare in bicicletta un tipo che non era tanto franco sul manubrio e andava un po’ qua e là. Subito nelle chiacchiere si è infilato il Carletto che ha sparato lì: "Ma quel lì el cugnusi, l’è un cioccheté, per quel ch’el sbanda". Dunque per il Carletto quel traballante ciclista era un tipo che non esitava ad asciugare i calici colmi di amato “rosso“ che lui ordinava con ossessivo seguito e all’oste: tanto che era sempre ciucco, ovvero “ciocch“ in dialetto, da cui “cioccheté“. Da parte di tutti gli amici del bar è salita al cielo una fiumana di riprovazioni, condanne, qualche insulto rivolti al quel povero ciclista “cioccheté“. L’unico che non lo ha condannato sono stato io perché la “ciocca“ o sbornia che sia, è trasgressione che mi ha sempre intrigato. Frequentando Gianni Brera, qualche volta, attavolato al suo ricco desco ho vissuto l’avventura de “un para de bei ciocch“. Lui no, sapeva bere. D’altra parte ho sempre guardano con sguardo bieco i commensali che a tavola accompagnano buone pietanze con l’acqua, peggio ancora quelli della Coca Cola. La sbornia è amica dell’uomo fin dalla preistoria. Nostri antenati lontanissimi si ubriacavano riempiendosi di frutti dolcissimi, alcolici. Celebre è l’ebbrezza di Noè, raccontata nella Genesi: così ebbro il patriarca da mettersi nudo con i figli scandalizzati. Michelangelo Buonarroti raccontò tutto questo con il suo celebre pennello nel grande stupendo affresco della Cappella Sistina. Gli archeologi che si sono accaniti con scavi sul monte Ararat non hanno trovato l’arca, ma un antro colmo di anfore da vino, insomma un’osteria. Sembrava che, aperte, pareva uscisse il profumo del mosto. Sulle pendici dell’Ararat si stendono grandi vigneti, il Vino di Noè. Lo bevvi anch’io, non era male. Quindi penso che per il povero “cioccheté“ ciclista incerto occorreva tollerare, perdonarlo, guardarlo con simpatia, senza il chiacchiericcio delle malelingue. emiliomagni@yahoo.it