PAOLA PIOPPI
Como

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Sequestro Mazzotti, la svolta da un’impronta lasciata sull’auto di Cristina

In aula il racconto dell’ispettore che rilevò le tracce lasciate dai rapitori la notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 1975

Cristina Mazzotti e il processo davanti  alla Corte d’Assise di Como

Cristina Mazzotti e il processo davanti alla Corte d’Assise di Como

Eupilio (Como), 17 ottobre 2024 - Per 31 anni, l’impronta digitale di Demetrio Latella, lasciata sulla Mini di Cristina Mazzotti la sera del suo rapimento, è rimasta anonima. Trovata subito dalla polizia che fece i rilievi all’epoca, repertata e custodita con cura, senza sapere a chi appartenesse.

La svolta

Fino al 31 ottobre 2006, quando il sistema Afis in dotazione alla Polizia Scientifica di Roma, ha restituito un nome e una certezza: 22 minuzie, vale a dire i punti di corrispondenza, sei in più di quanto prevede la legge italiana per ritenerla valida e utilizzabile processualmente.

In quel lungo periodo, erano cambiate molte cose nelle investigazioni scientifiche, tra cui l’introduzione, da marzo 1999, dell’Afis, il sistema di catalogazione delle impronte digitali delle persone arrestate o che vengono carcerate.

Ma il laboratorio di Roma, in particolare, lavora continuamente per attribuire un nome alle tante impronte rilevate su scene di crimini, che rimangono provvisoriamente anonime. Da qui, come è stato spiegato nell’udienza di eri mattina del processo a carico di quattro imputati, ritenuti gli esecutori materiali del sequestro, erano ripartite le indagini.

Il rapimento

Cristina Mazzotti era stata rapita a 18 anni la notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 1975 a Eupilio, quando la sua auto era stata bloccata e lei costretta a scendere. Sulla carrozzeria erano rimaste tre impronte: una palmare, lasciata da Carlo Galli, l’amico che era con lei.

Le altre due digitali, una delle quali ancora ignota, la seconda di Demetrio Latella. L’uomo, che ora ha 70 anni, è a processo davanti alla Corte d’Assise di Como assieme al boss della ‘ndrangheta Giuseppe Morabito, 80 anni residente nel Varesotto, a Giuseppe Calabrò, 74 anni e Antonio Talia, 73 anni.

La fossa in cui venne tenuta prigioniera Cristina Mazzotti
La fossa in cui venne tenuta prigioniera Cristina Mazzotti

La morte

La ragazza era poi stata portata ad Appiano Gentile, e ceduta al gruppo dei “Lombardi“, che l’avevano tenuta in custodia, seppellita in una fossa a Castelletto Ticino, collegata all’esterno da una cannuccia per respirare, fino alla sua morte causata da una overdose di sedativi.

Ieri è stato ascoltato un secondo testimone, all’epoca ispettore della Squadra Mobile di Como, che alla riapertura delle indagini, nel 2007, aveva lavorato per arrivare a identificare chi aveva materialmente rapito Cristina quella notte.

Secondo le accuse per cui sono a processo ora, Latella, Calabrò e Talia avrebbero preso la ragazza, mettendole poi un cappuccio sulla testa, ed erano arrivati a Eupilio utilizzando un’Alfa Romeo Giulia messa a disposizione da Morabito.