ANDREA SPINELLI
Cosa Fare

Il Dente-pensiero al Magnolia: poche parole ma giuste

L'ultimo album “Canzoni per metà” è il sesto album-romanzo, un racconto dei racconti che il cantautore fidentino srotola stasera sul palco del Magnolia

PROTAGONISTA Giuseppe Peveri, in arte Dente, sul palco

Milano, 9 novembre 2016 - Se è vero, come sostiene Erving Polster, che ogni vita merita un romanzo è pure vero il contrario: ogni romanzo merita una vita. E le tante esistenze in bilico collezionate da Giuseppe Peveri, in arte Dente, nell’ultimo album “Canzoni per metà” trasformano questo suo sesto album-romanzo in un racconto dei racconti che il cantautore fidentino srotola stasera sul palco del Magnolia. Pensieri istantanei come il lampo, ma sempre dal senso compiuto. Pillole per (non) dormire con cui Dente, classe 1976, cerca un senso e una direzione per il suo essere artista. «Ci ho messo dentro venti canzoni che pensavo potessero star bene insieme», spiega Peveri, anzi Dente. «Alcune sono state scritte diverso tempo fa, ma questa è una cosa che mi capita spesso di fare; pure nel predecessore “Almanacco del giorno prima” c’era “Meglio degli dei” che avevo scritto nel 2005. Fa un po’ impressione ascoltarle tutte assieme e ci vuole del tempo per apprezzarle. È accaduto pure a me, che solo ora riesco a sentirmi abbastanza soddisfatto del risultato finale».

“Canzoncina” attinge a Willie Nelson. «Già, a quella “Sad song and waltzes” che eseguivo in concerto anni fa come introduzione a “Scanto di sirene” per via di quella frase che dice “ho scritto una canzone per te, ma non preoccuparti perché le canzoni tristi e i valzer quest’anno non vendono”».

La brevità è una caratteristica peculiare della sua scrittura. «Mi piace molto la sottrazione, trovare le parole giuste per dire le cose in poco spazio. A volte scrivo canzoni che durano 30 secondi o 1 minuto, ma hanno la dignità delle altre».

Tempo fa aveva portato in tour le canzoni di “Anice in bocca”, il suo primo album, per festeggiare il decennale della sua pubblicazione. «Riascoltarle dopo così tanto tempo mi ha fatto uno strano effetto. Ho scoperto, ad esempio, che nel frattempo la mia voce è cambiata, con relativa fatica a ritrovare il mood di allora, così come a ricreare certi suoni con chitarre e pedaliere. La gente, però, ha capito e mi ha sostenuto».

Lo scorso anno ha pubblicato pure il volume “Favole per bambini molto stanchi”. «Ha venduto più dei miei dischi e questo la dice lunga. Volendo utilizzare la forma fiabesca, quasi tutte le storie iniziavano con “c’era…” e finivano con “fine”. Anche se nel mezzo non c’era sempre una fiaba».

Qual è per lei la differenza tra fiabe e le canzoni? «Le fiabe nascono senza musica, le canzoni, invece, le scrivo già immaginandomele in un disco. Pure nei miei racconti minimi, comunque, ho badato molto alle parole; perché suonassero e “rotolassero” in una certa maniera».