Cremona - Due settimane di quarantena in Nuova Zelanda, tamponi di controllo e poi rotta verso l’Antartide, ai confini di un mondo sconvolto dalla pandemia. Il 2020 in una “bolla Covid free”, composta da ricercatori e tecnici, civili e militari, in uno dei luoghi più inospitali del pianeta, dove le temperature possono arrivare fino a -80 gradi. Venti gelidi, il sole che non tramonta mai o la notte perenne. La stessa sensazione di isolamento totale sperimentata l’anno scorso, per la prima volta, in città costrette al lockdown. Il caporal maggiore capo scelto Calogero Monaco e il caporal maggiore capo Enrico Alongi, 41 e 36 anni, entrambi in forze al 10° Reggimento Genio Guastatori di Cremona, sono rientrati in Italia dopo la 36esima campagna estiva del Programma nazionale di ricerche in Antartide, finanziato dal ministero dell’Università e attuato da Enea e Cnr.
Una spedizione composta da 72 persone che ha visto la partecipazione delle forze armate, con specialisti forniti dall’esercito, dalla marina e dall’aeronautica per lo svolgimento delle attività di ricerca: 31 progetti scientifici, di cui 13 osservatori riguardanti le scienze della vita, della Terra, dell’atmosfera e dello spazio che nell’anno del Covid, pur con alcune limitazioni, non si sono mai fermati. Monaco e Alongi, entrambi “veterani” dell’Antartide, si occupavano della riparazione e della manutenzione dei mezzi, di attività di logistica e supporto nella stazione Zucchelli affacciata sull’oceano e nella base italo-francese Concordia, a oltre tremila metri di altitudine sul plateau e a più di mille chilometri dalla costa. "Prima di partire siamo stati sul ghiacciaio del Monte Bianco – racconta Alongi – in un accampamento di tende per l’ambientamento e la sopravvivenza a climi rigidi. Ci hanno portati in Nuova Zelanda in aereo e lì siamo rimasti per la quarantena. Prima di partire per l’Antartide con un volo militare abbiamo fatto tutti un nuovo tampone. Così si è creata una “bolla” composta da una ventina di persone – prosegue – la base era Covid free grazie alle procedure di sicurezza che anche i nuovi arrivati dovevano osservare. Con noi c’era anche un medico, ma non ci sono mai stati problemi". Nella base ricevevano via internet notizie di un mondo alle prese con la pandemia, Skype e WhatsApp per comunicare con familiari e figli rimasti in Italia. "Alle 8 c’era la prima riunione per la distribuzione dei compiti – racconta Monaco – a mezzogiorno il pranzo con piatti italiani preparati dai cuochi con prodotti surgelati. La sera era libera".
Il tempo per leggere, guardare un film o giocare a biliardino nell’area ricreativa, allenarsi in palestra. Fuori il freddo polare e animali come i piccoli pinguini di Adelia, foche, uccelli skua simili a grossi gabbiani, il raro passaggio di orche nell’oceano. "Alla Concordia abbiamo toccato i -60 gradi – prosegue Monaco – e la primissima sensazione che si prova è quella di avere i peli del naso congelati. Spesso lavoravamo sui mezzi all’aperto, con venti a 100 nodi, indossando tute artiche progettate per temperature estreme". Poi il sole che, nel loro periodo di permanenza, non tramontava mai. "È difficile abituarsi – spiega Alongi –. L’ultimo dell’anno abbiamo fatto il brindisi di mezzanotte con la luce, con il pensiero rivolto alle nostre famiglie e a tutti gli italiani costretti a stare in casa".