CREMONA – Non ti basta lo stipendio? Aumentatelo. È quello che ha fatto un funzionario del comune di Verolavecchia, residente in un paese tra la provincia di Cremona e quella di Brescia. E lo ha fatto sistematicamente dal 2005 al 2023, quando finalmente è stato sorpreso con le mani nel sacco. Interrogato e messo alle strette dalla Guardia di Finanza di Cremona, l’uomo ha ammesso gli addebiti e restituito una parte del maltolto: 162.182 euro. Andrà comunque a processo per peculato, truffa aggravata ai danni dello Stato e falso ideologico.
La vicenda verte attorno a un funzionario del comune bresciano il quale, potendo utilizzare la firma digitale, aveva capito che avrebbe potuto operare sull’entità del suo stipendio senza che nessuno se ne accorgesse. E così ha fatto, aumentandosi di fatto l’importo e accreditandoselo in banca. In totale, negli anni, questa persona ha ottenuto 162.182 euro in più. Ma, non contento e capito che il trucco funzionava, nel corso degli anni, dal 2015 fino al 2023, quando il trucco è stato scoperto, ha anche predisposto finti mandati di pagamento a favore di suoi parenti per un totale di 186.682 euro.
Alla fine a qualcuno è venuto qualche dubbio e ha chiesto di indagare. I finanzieri hanno così scoperto l’arcano e trovato su vari conti correnti il denaro sottratto illegalmente, ricordandosi di una precedente indagine dello scorso ottobre che aveva interessato lo stesso funzionario, ma in altri comuni. Chiamato a rispondere di queste entrate, l’uomo ha ammesso gli addebiti e ha restituito le somme sottratte al Comune, inerenti a quelle percepite in più sul suo stipendio, cioè 162.182 euro, con tante scuse. Il che, comunque, non lo salverà da un processo. La Guardia di Finanza è arrivata a scoprire quanto messo in atto dal funzionario in quanto la stessa persona, con un complice, aveva perpetrato lo stesso tipo di raggiro nel Cremonese, nell’Unione Terre di Pievi e Castelli (che comprende i comuni di Pessina, Torre de’ Picenardi e Isola Dovarese), dove aveva sottratto 92mila euro, poi restituiti. Per quei reati l’impiegato è stato condannato in primo grado a tre anni e due mesi di reclusione.