GABRIELE MORONI
Cronaca

Condannata per l'omicidio del fratello, ora lavora in ospedale: "E' tutto surreale"

Quindici anni in primo grado per aver provocato la morte dell’uomo con un sedativo, assunta come anestesista a Crema

Marzia Corini, 57 anni, durante uno dei suoi interventi medici sui fronti di guerra

Crema (Cremona) - "Avevo deciso che se mi avessero condannata mi sarei uccisa. Poi ho visto il dolore dei miei amici, convinti che invece sarei stata assolta. Li ho visti piangere disperatamente e allora ho deciso di andare avanti". Marzia Corini ha ripreso il suo lavoro di medico nel reparto di anestesia e rianimazione dell’ospedale di Crema. Era arrivata a marzo di un anno fa come volontaria quando la pandemia da Covid toccava il picco. È assunta da novembre. La Corte d’Assise di La Spezia l’ha condannata a quindici anni di reclusione con l’accusa di avere ucciso il fratello Marco Valerio, 51 anni, avvocato affermato, con una overdose del sedativo Midazolam nella sua villa di Ameglia. Omicidio e falso in testamento. Al centro dell’inchiesta l’importante patrimonio di Marco Valerio e la sua eredità. Il pubblico ministero aveva chiesto ventitré anni. Si attendeva la condanna? "La mia vita è l’antitesi delle accuse. Ho trascorso anni sui fronti di guerra in Afghanistan, Pakistan, Siria, Sudan, Centro Africa, Cambogia, Bolivia, Zambia. Però, dopo due anni di indagini e tre anni di processo, non ero ottimista. Trovo che tutto sia stato surreale". Gli ultimi giorni di suo fratello. "Era settembre del 2015. Marco non reggeva più la chemioterapia. Non respirava, veniva aiutato con l’ossigeno. Aveva perso diciassette chili. Nella notte fra il 23 e il 24 e in quella fra il 24 e il 25 ha avuto due crisi respiratorie. Mi ha parlato alle sette del mattino del 25. Soffriva molto. Alle 11 ho chiamato il palliativista per dirgli che non riuscivo ad attenuare le sofferenze di mio fratello e che avrei provato con un sedativo. Era d’accordo. A mezzogiorno e un quarto ho proceduto con il Midazolam, una fiala da 15 milligrammi diluiti in una flebo da 500 millilitri di soluzione fisiologica, un milligrammo ogni ora". Cosa accadde dopo? "Sono andata avanti per cinque ore a chiamare il palliativista. È comparso alle cinque del pomeriggio. Ha detto che andava bene così. Si è trattenuto per circa quaranta minuti. Marco è morto alle 19.35". Quando ha dato la disponibilità per l’ospedale di Crema? "Sentivo i numeri dei morti e mi è venuto naturale. Ho inviato il curriculum alla Regione Lombardia. Mi hanno chiamato sia Crema sia Busto Arsizio, ma l’emergenza a Crema era più grave. Dopo qualche mese mi hanno chiesto di restare. Ho fatto il concorso e ora sono di ruolo come anestesista". Come è stata accolta in ospedale? "Poco prima della sentenza il primario e diversi colleghi hanno inviato una lettera al presidente della Corte per manifestare la loro solidarietà. Al ritorno ho ricevuto abbracci, baci. Mi hanno molto commossa i messaggi dei pazienti che avevo assistito, sopravvissuti della prima, terribile ondata di Covid. Mi dicevano che dopo avermi conosciuta non credevano assolutamente che fossi l’assassina descritta da qualche giornale". E oggi? "La condanna è come una stimma. Qualcosa che ho ricevuto, mi porto addosso, ma estraneo alla mia vita, al mio essere".