
Matteo Severgnini e Papa Francesco
Cremona, 30 ottobre 2018 - Matteo Severgnini, 39 anni, dirige una scuola in Uganda, a Kampala. Una scuola particolare che ha quasi 500 studenti. E’ una scuola superiore che poi darà accesso all’università. Ma è un istituto frequentato dai figli di madri che hanno contratto l’Aids dai soldati del Lord Resistence Army che utilizzano lo stupro di massa come arma per sottomettere i villaggi conquistati.
Matteo Severgnini, da Casale Cremasco, dopo la laurea in filosofia, sei anni fa ha sentito il bisogno di andare laggiù, affascinato dalla storia di Rose Busyngye, una di quelle donne che ha avuto il coraggio di alzarsi, formare una specie di cooperativa nello slum di Keniga alle porte di Kampala, dare un lavoro umilissimo a queste tante donne distrutte nel fisico e nel morale, motivarle, ridare loro la forza di lavorare per i figli, quei figli che, proprio grazie al loro sacrificio, possono studiare nella scuola di Matteo e un domani accedere all’università, prendere una laurea e affrontare il mondo in un modo senz’altro migliore. Queste madri, che tutte le mattine si alzano, vanno alla miniera con il loro scalpello, spezzano la pietra e vendono il pietrisco ricavato per 4 centesimi, una cifra per noi ridicola, ma per loro importante. Perché proprio grazie a questi soldi, loro vivono e mandano i figli a scuola. Loro continuano le cure e riescono a stare al mondo. Questa la storia di Matteo Severgnini, fedele seguace di don Giussani, strappato al Cremasco per impiantarsi un Uganda. Ma quel che ha fatto scalpore è che il giovane professore e manager questa storia ha avuto il coraggio di andare a raccontarla al Sinodo, davanti a vescovi e cardinali giunti per parlare di fede, mentre si sono trovati di fronte a una persona che ha parlato di coraggio, di resurrezione. Con quella del Cristo, ma di queste madri.
«Quando, mesi fa, mi hanno chiesto la disponibilità a prendere parte a questo Sinodo (dal 3 al 28 ottobre, ndr) così importante, ho risposto subito di sì, ma specificando che avevo un’idea molto vaga di che cosa davvero fosse un Sinodo, e che non sapevo quale contributo avrei potuto dare ai lavori. Invece poi ho deciso di raccontare la mia storia, quella storia che ha al centro le madri malate e i ragazzi che vengono a studiare nella mia High school, che hanno ottimi risultati con una percentuale del 43% che al termine della scuola passa all’università».