
Il doppio lavoro in segreto era iniziato nel 2014 e proseguito fino al 2019
Crema – Una dipendente di un Comune del Cremasco che lavorava, senza l’autorizzazione necessaria, anche per un altro Comune è stata condannata a risarcire, come danno erariale, gli oltre 66mila euro di compensi ricevuti per il secondo lavoro e a rifondere anche alle spese legali.
La donna svolgeva la funzione di responsabile del servizio di finanziario e ufficio ragioneria e si era auto firmata l’autorizzazione a prestare la propria collaborazione in contemporanea anche per un altro Comune. La dirigente era venuta a conoscenza che in un altro Municipio cercavano un’impiegata che aveva il suo stesso profilo, per un impiego part time. Così, senza dire nulla al Comune dove era assunta, si è firmata un’autorizzazione, si è presentata nel Comune dove avevano la necessità di questa figura e ha occupato il posto.
Tutto questo a cominciare dal 2014 e fino al 2019, ricevendo compensi ammontanti a 834 mensili (al lordo delle ritenute fiscali), oltre al rimborso delle spese, per un totale complessivo pari ad 66.592 euro. Qualcosa però è andato storto e nel Comune dove era dirigente qualcuno ha scoperto il doppio impiego della donna, facendo presente che forse c’era qualcosa che non andava. Per esempio, l’autorizzazione a prestare servizio in un altro Comune.
Da lì è partita un’indagine amministrativa interna, nel mese di giugno 2019, che in breve aveva fatto emergere la magagna, appunto che l’autorizzazione a svolgere la seconda attività era stata firmata dalla stessa interessata, in evidente conflitto di interessi e senza informare il sindaco del doppio incarico. Il Comune aveva quindi deciso di licenziare per giusta causa la dirigente con risoluzione del rapporto di lavoro in data 12 novembre 2019.
La donna però, ritenendo di essere nel giusto, aveva avanzato ricorso. Così, di grado in grado si è arrivati alla Corte dei conti che è stata chiamata a giudicare il danno erariale prodotto dalla dirigente con il suo comportamento e, di conseguenza, la liceità dei suo licenziamento. La Corte dei conti ha dato ragione al comune, non solo convalidando il licenziamento, ma anche condannando la ex dipendente a restituire gli emolumenti percepiti per l’esercizio di attività non autorizzata. In tutto ben 66.592 euro.