Milano – L’agrobiodiversità si fa soprattutto in montagna. Se nella pianura padana emerge una specializzazione produttiva, rappresentata soprattutto dalle filiere zootecniche, che ha plasmato economia, paesaggio e anche la società che ruota attorno a questo tipo di agricoltura, è nelle zone montuose che resiste una maggiore diversità di prodotti. La rappresentazione plastica di questa doppia velocità la si può vedere nella mappatura dell’agrobiodiversità vegetale italiana di Unimont - Università della montagna.
Il centro di ricerca coordinato Ge.S.Di.Mont. di Unimont ha iniziato a censire le cultivar locali tradizionali della Lombardia grazie all’accordo di collaborazione con Regione Lombardia. Il censimento delle cultivar erbacee è proseguito ed è stato esteso all’intero territorio italiano grazie alla convenzione operativa con il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della presidenza del Consiglio dei ministri, fino ad arrivare al progetto Agritech, che si basa sull’utilizzo delle tecnologie per lo sviluppo sostenibile delle produzioni agroalimentari. Cosa emerge?
Dall’integrazione dei dati di Unimont con quelli del primo inventario delle cultivar locali tradizionali redatto dall’Università degli Studi di Perugia e quelli di Fondazione Slow Food per la biodiversità, è nata una mappa, implementabile, da cui si evince che, in Lombardia, esistono 81 cultivar, di cui 16 solo nel Bresciano, 13 in provincia di Pavia, 12 nella provincia di Bergamo, 11 in quella di Sondrio. Guardando la cartina, la distribuzione è prevalentemente nelle zone di montagna, ad eccezione della zona di Pavia, dove esistono diverse cultivar soprattutto di cereali. Questi ultimi, insieme agli ortaggi, sono le tipologie più frequenti, ma, ad esempio, nel Comasco, si rilevano diverse cultivar di pomodoro, mentre tra Sondrio e la Val Camonica sono diversi i tipi di legume coltivati.
Proprio dalla valle bresciana arriva uno degli ultimi studi pubblicati nell’ambito del progetto Pnrr Agritech Center, in collaborazione con il Comune di Malegno, che ha delineato le caratteristiche della cultivar locale, il “Carciofo di Malegno“. Usando un modello di distribuzione della specie per esplorare la sua nicchia ecologica e l’area geografica in cui potrebbe essere coltivata in futuro, è emerso che tra il 2040 ed il 2026 la coltivazione di questa cultivar tradizionale potrebbe espandersi alle Prealpi e alle Alpi lombarde, perché i cambiamenti climatici potrebbero creare le condizioni favorevoli per la diffusione, generando anche nuove opportunità di reddito nelle aree montane.