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Osama bin Laden e Ayman al-Zawahiri in una foto d'archivio
I talebani sono cambiati almeno nella facciata. Ma che fine hanno fatto Al Qaeda e Isis, le organizzazioni militari fautori del fondamentalismo islamico più oltranzista a suon di kalashnikov e attentati terroristici? Perché la domanda fondamentale in questa crisi dell'Afghanistan è proprio questa. Soprattutto alla luce di quando ribadito poco fa da Boris Johnson che nel dibattito straordinario alla Camera dei Comuni ha spiegato come i 20 anni di missione militare in Afghanistan sono stati "un successo malgrado le tante difficoltà" rispetto all'obiettivo cruciale del dopo l'11 settembre 2001 di "estirpare al Qaeda e fare il possibile per stabilizzare il Paese". Che poi è anche la tesi sostenuta dal presidente americano Joe Biden nel commentare il ritiro: abbiamo estirpato la minaccia terrostica e ora ce ne andiamo. E pazienza se abbiamo lasciato uno Stato irrisolto, in mano agli stessi nemici che abbiamo combattuto per vent'anni abbandonando migliaia di profughi senza prospettive e con il rischio di ritorsioni.
Real-politik, si dirà, ma non basta per cancellare un ritiro mal programmato che agli occhi del mondo intero invece è apparsa come una fuga irrazionale, un'onta come l'ha definita più di un premier dei Paesi della coalizione Nato che per vent'anni ha speso fiumi di denaro e vite umane per assicurare un futuro all'Afghanistan. Invece l'Occidente si trova di fronte a una nuova crisi umanitaria. A pagare saranno sempre e comunque i civili afghani, esattamente come era avvenuto nel dopo Vietnam. Il piano di evacuazione con il ponte aereo in una Kabul che assomiglia alla Berlino del '45 prosegue ma il pasticcio ormai è fatto: i talebani sono tornati nella stanza dei bottoni.

I talebani di oggi utilizzano i pc portatili, sono presenti sui social e parlano un inglese decente. Sono di stirpe Pashtun che ha vinto la guerra alle minoranze uzbeke, tagiki, hazara.La conferenza-stampa di ieri ha mostrato un nuovo volto: sorridono alle telecamere e rispondono alle domande delle giornaliste donne, promettono stabilità e respingono la vendetta, assicurano la tutela dei diritti sebbene sotto la sharia. Sono una generazione nuova, vengono perlopiù dalle montagne, restano di etnia Pashtun ma sono diversissimi dai loro zii e padri. Soprattutto per via dei profitti della vendita di oppio ma anche del denaro e dai profondi cambiamenti intervenuti in vent'anni di presenza occidentale. I milioni di dollari della coalizione hanno contribuito a cambiare l'Afghanistan, uscito dalla vittoriosa jihad contro l'invasione sovietiva degli anni '80 e la successiva guerra civile tra la i moderati filo Rabbani e gli estremisti di Hekmatyar (prima) e l'Alleanza del Nord del generale Massoud e gli stessi studenti del Corano (poi). Nell'atavica lotta tra le molte tribù afghane alla fine hanno prevalso i talebani, che oggi si presentano in una vesta moderata.Attenzione però: dietro alla facciata si nascondono comunque gli antichi principi, la legge coranica non scritta e tramandata dai mullah che resta il fertilizzante capace di tenere insieme le diverse etnie.
La loro base storica è Kandahar, dove è nato il movimento talebano. A Kandahar, seconda città del Paese, ha cominciato la sua ascesa mullah Baradar, sin dai primi anni Novanta braccio destro del Mullah Omar, oggi capo spirituale dei talebani e possibile futuro presidente del nuovo Afghanistan. E la provincia di Kandahar per anni ha ospitato basi in Al Qaeda ha addestrato guerriglieri e foreign-fighter pronti a seguire Osama bin Laden che a Kandahar ha pianificato gli attacchi dell'11 settembre 2011.
Quando gli Stati Uniti dopo l'11 settembre 2011 sono arrivati in Afghanistan, i talebani hanno protetto e spalleggiato Osama Bin Laden, fino alla sua morte. Rifugiati nelle montagne e nei deserti rocciosi per vent'anni hanno combattuto la coalizione occidentale continuando a sostenere Ayman al Zawahiri, che dopo la morte (2 maggio 2011) dello sceicco del terrore ha ereditato la guida di Al Qaeda. Oggi l'organizzazione terroristica è rinata con molti gruppi più o meno forti sparsi per l'Africa, nel Sahel, Mozambico Mali, in Nigeria (Boko Haram) e Burkhina-Faso ma anche Yemen. Esiste un legame tra Al Qaeda e i talebani. Infatti, sebbene si tratti di due realtà scisse tra loro dal punto di vista politico e anche operativo, Osama Bin Laden era solito affermare che l’Afghanistan, sotto la guida dei talebani del Mullah Omar era l’unico Paese islamico rimasto veramente tale in tutto il mondo musulmano chiamata alla jihad armata - ossia la guerra santa agli infedeli - per poter rimediare a ciò che egli credeva fossero le ingiustizie perpetrate verso i musulmani da parte dello Stato di Israele e la necessità impellente di costringere gli Stati Uniti a ritirarsi in via definitiva dall’Oriente.
Il Mullah Baradar è stato in passato anche il fondatore dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan che può essere letto come estensione dell'autoproclamato Califfato fondato da Abū Bakr al-Baghdādī. E' del tutto evidente che in un'ottica panislamica il progetto talebano e dell'Isis abbiano notevoli punti di contatto. Ma come sempre, prima ancora del Corano, prevarranno gli interessi. Perché senza soldi non si possono comprare armi e finanziare la jihad contro gli infedeli occidentali.