Milano - Andrea Tombolini, l’uomo di 46 anni che tentò la strage il 27 ottobre scorso, al Carrefour del centro commerciale Milanofiori di Assago, era lucido al momento dell’aggressione mortale. È stato riconosciuto capace di intendere e volere e capace anche di stare in giudizio dai periti incaricati dal gip Patrizia Nobile, un collegio di esperti, tra cui Marco Lagazzi, criminologo e psichiatria forense, noto per aver seguito il caso del “mostro di Terrazzo“ Gianfranco Stevanin.
Cosa rischia l'indagato
Tombolini si trova attualmente nel reparto di Psichiatria del San Paolo su disposizione del pm Paolo Storari con l’accusa di omicidio, duplice tentato omicidio e lesioni per aver accoltellato 6 persone, uccidendone una e ferendone gravemente due. Con la piena capacità, ora rischia l’ergastolo. Per i superesperti, in sostanza, Tombolini aveva sì qualche disturbo psicologico, ma non tale da impedirgli di essere "cosciente del male" che stava commettendo nel momento in cui cominciò a colpire i clienti del centro commerciale. E per il criminologo Lagazzi, Tombolini "voleva uccidere" quando, aggirandosi fra gli scaffali del supermercato, vide un coltello, lo sfilò dal contenitore cominciò a colpire con furia persone che lui vedeva "felici e fortunate", mentre "lui no, lui era malato".
Nell’udienza davanti al gip Nobile erano presenti anche i legali delle persone colpite a coltellate, vittima e feriti. Tra loro l’avvocato Marco Dallavalle, che assiste il padre di Luis Fernando Ruggieri, il dipendente del supermercato ucciso, e anche un collega rimasto ferito. Presente anche il legale del calciatore del Monza, Pablo Marì, pure lui parte offesa, che qualche giorno dopo l’aggressione fu dimesso dall’ospedale. La perizia sarà discussa alla presenza delle parti venerdì.
Il profilo dell'accoltellatore
Tombolini, interrogato dal pm per la convalida e poi dal gip, aveva aveva spiegato così i motivi del suo gesto: "Quando ho visto che tra i clienti c’era un calciatore del Milan (del Monza in realtà, ndr) ho provato molta invidia, perché lui stava bene ed io stavo male. L’ho colpito quindi con un coltello che avevo in mano e potevo fermarmi lì, invece non so cosa mi è preso e ho cominciato a colpire anche altre persone, a caso". Dagli atti era emerso che Tombolini avrebbe dovuto sottoporsi ad una visita psichiatrica ai primi di novembre. Nel faccia a faccia con gli inquirenti dopo l’arresto, Tombolini era apparso un uomo perfino mite e fortemente ipocondriaco. Aveva spiegato di aver agito perché riteneva di "avere un tumore e di dover morire presto" e quindi di avere avuto un sentimento "di invidia perché le persone che ho colpito stavano bene". Si teneva la testa tra le mani, calmo e disperato. Ma poi se qualcuna delle domande che gli venivano rivolte non erano quelle che che si aspettava, reagiva accartocciando il foglio di carta che teneva in pugno, quasi con stizza.
Contraddizioni e vizi
Lui, di solito tipo di poche parole, ai magistrati aveva detto tutto. Di aver voluto prima buttarsi da un balcone e poi di aver preso il coltello "per farla finita", come aveva già fatto anche a casa, ma di non esserci riuscito. Alla fine, evidentemente, era prevalsa l’"invidia" verso chi stava bene. Prima aveva assicurato di non far uso di stupefacenti ("neppure fumo") poi però, aveva ammesso di aver usato in passato droghe pesanti "tipo Lsd". E di aver avuto problemi di alcolismo per i quali si era curato da solo.