FEDERICA PACELLA
Cronaca

Bambini malati cronici: cure palliative garantite solo a uno su quattro

In Lombardia sono circa cinquemila i minori che ne avrebbero necessità. La legge esiste dal 2010, ma le criticità economiche e logistiche restano

Le cure palliative possono migliorare la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie

Le cure palliative possono migliorare la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie

Milano – Qualche passo avanti c’è stato, ma a 15 anni dall’istituzione della legge sulle cure palliative le criticità sono ancora tante, a partire dall’accesso a quelle pediatriche: solo il 25% di minori che ne avrebbe bisogno vi accede.

"Ciò significa che quello che dovrebbe essere un diritto garantito per tutti, allo stato dell’arte è ancora un privilegio per pochi", commenta Daniela Dallera, presidente di associazione Maruzza Lombardia odv. La legge 38 del 15 marzo 2010 era stata una rivoluzione, perché aveva sancito il diritto di accedere alle cure palliative per tutti i cittadini che ne hanno bisogno. “Non si può dire che non sia stato fatto nulla – sottolinea Dallera – ma ci sono ancora tante criticità, a partire dalla conoscenza delle palliative e delle specificità di quelle dedicate ai minori”. I piccoli pazienti sono bambini con patologie inguaribili, croniche, degenerative o fortemente invalidanti, per le quali ci sono però cure volte a migliorare la qualità della vita sin da subito, a volte ancora prima che i piccoli nascano. “Parlare di inguaribilità fa paura, ma un’informazione adeguata può aiutare quanto meno a migliorare la qualità della vita”. Gli ultimi dati parlano di 40mila minori in Italia (0-17 anni), di cui solo il 20-25% riesce ad accedere a queste cure. In Lombardia, si possono stimare circa 5mila minori che potrebbero beneficiare delle cure palliative; solo il 20% sono pazienti oncologici. “La legge 38 – ricorda Dallera – parla di equipe multidisciplinare che dovrebbe accompagnare il bambino, con la famiglia, fin dalla nascita”.

Nella realtà, attorno a ogni bambino c’è sì una rete di specialisti, che manca chi tira le fila, per cui le famiglie, oltre a doversi prendere cura del minore, si trovano a vagabondare, nella maggior parte dei casi, tra uno specialista e l’altro, senza avere un punto di riferimento. Non si è all’anno zero: le equipe per le cure palliative pediatriche sono riconosciute, in ospedale e fuori, ma non sempre hanno gli strumenti (posto letto, ambulatorio) per seguire tutti coloro che ne avrebbero bisogno, anche perché questo è uno di quei casi in cui è soprattutto sul territorio che ci dovrebbe essere una rete diffusa. Invece, se si guarda alla domiciliarità delle cure, sono pochi i casi in cui si riescono ad attivare gli interventi in casa.

L’associazione Maruzza lo sa bene, perché, quando serve, si occupa anche di supportare economicamente le famiglie che devono trasferire il minore da casa a un centro specializzato, affrontando spostamenti di diversi chilometri che con situazioni di disagio pesano oltre di quanto non dica l’effettiva distanza. L’associazione ricorda ad esempio il caso di una minore, purtroppo deceduta, che veniva ogni mese da un comune a 20 chilometri da Brescia per cambiare la tracheo, operazione che sarebbe potuta avvenire a domicilio, evitando la trasferta alla bambina e i disaggi connessi. Non da ultimo, altro grosso scoglio è la formazione degli operatori sanitari: basti pensare che solo nel 2022 il Ministero ha istituito la scuola di specializzazione in medicina e cure palliative, specialità che non risulta però tra le più gettonate. “La legge per ora è applicata a macchia di leopardo – conclude Dallera –. Servirebbe un cambio di cultura generale, che metta al centro non la patologia, ma il minore, i suoi bisogni e quelli della famiglia”.