DARIO CRIPPA
Cronaca

Incredibile scoperta nei sotterranei: ecco i cinque nuovi "mostri marini" della preistoria

I fossili erano conservati in vari musei, tra cui quello di Storia Naturale di Milano: si tratta di rettili "parenti" del Besanosauro della Valceresio

Palentologi al lavoro sui fossili trovati

Palentologi al lavoro sui fossili trovati

Milano, 6 maggio 2021 - Il Besanosauro, un rettile marino ritrovato quasi trent’anni fa ai confini con la Svizzera, non era solo. E, a volte, quello che hai sotto gli occhi è la cosa più difficile da vedere. Come le ossa che da tempo erano conservate nei sotterranei di alcuni musei: quello di Storia Naturale di Milano, ma anche quelli di Zurigo in Svizzera e di Tubinga in Germania. È una scoperta straordinaria, soprattutto in tempi di pandemia e di lockdown, quella effettuata da una squadra internazionale di paleontologi: esistevano infatti altri cinque esemplari di ittiosauro, un rettile marino lungo fino a 6 metri e del peso di mezza tonnellata. Ed erano quasi sotto il nostro naso. Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano, Comune di Milano – Cultura, che ha coordinato le ricerche, lo può dire a buon diritto, visto che il primo Besanosauro italiano – una femmina gravida, con un embrione in pancia - era stato proprio lui a individuarlo, nel 1993, nella Cava del Sasso Caldo, nei pressi di Besano, in Valceresio piccolo comune in provincia di Varese fra Italia e Svizzera. E si deve ai paleontologi del Museo di Milano la sua denominazione scientifica, destinata a fare scuola: Besanosaurus leptorhynchus.

La scoperta "sotto casa"

Ma non era appunto finita lì: “Nessuno immaginava che nelle collezioni dei musei ci fossero altri ittiosauri di questa specie non ancora identificati, tra cui uno di ben 8 metri: un record tra i predatori marini di quel periodo geologico”. Per arrivare a questa incredibile scoperta scientifica questa volta non è stato necessario esplorare mete esotiche o deserti assolati. Un team di paleontologi italiani, svizzeri, fiamminghi e polacchi si è messo invece alla ricerca di fossili simili al Besanosauro esposti nei musei fra Italia, Svizzera e Germania ed estratti dalle medesime rocce del Triassico che affiorano nel giacimento di Besano-Monte San Giorgio, al confine tra Italia e Svizzera.

A raggi X

I reperti sono stati successivamente portati nei reparti radiologici degli ospedali (compreso l’Ospedale Maggiore di Milano), dove sono state impiegate tecniche per ricostruire i fossili in 3D, TAC mediche e fotogrammetrie. E così sono saltati fuori gli altri cinque ittiosauri, tutti di ragguardevoli dimensioni. L’articolo scientifico che li descrive è uscito ieri on line sulla prestigiosa rivista scientifica PeerJ  ed è stato firmato, oltre che da Cristiano Dal Sasso, anche da Gabriele Bindellini (Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano), Andrzej Wolniewicz (Accademia delle Scienze Polacca, Varsavia), Feiko Miedema (Museo Statale di Scienze Naturali, Stoccarda) e Torsten Scheyer (Istituto e Museo di Paleontologia, Università di Zurigo).

Gli esperti

“Gli ittiosauri del Triassico Medio sono rari nel mondo e in gran parte di piccole dimensioni – spiegano i ricercatori -. Hanno 240 milioni di anni: vissero prima dei dinosauri, non sono loro parenti e hanno antenati terrestri simili a lucertole, da cui ereditarono le quattro zampe trasformandole in pinne per nuotare”. I nuovi esemplari, finora inediti, conservano tutti le ossa del cranio e permettono dunque una conoscenza più completa della anatomia e delle abitudini alimentari di Besanosaurus leptorhynchus. Tale nome, coniato dai paleontologi Cristiano Dal Sasso e Giovanni Pinna nel 1996, si conferma azzeccatissimo: abile nuotatore dai movimenti simili a quelli di un’anguilla, il “rettile di Besano dal rostro sottile” aveva un muso lunghissimo e affilato, con cui catturava calamari e piccoli pesci, grazie a rapidi movimenti della testa.

Le ricerche sui fossili

I sei esemplari studiati, conservati e in parte esposti nei musei di Milano (2), Zurigo (3) e Tubinga (1), erano stati estratti nel secolo scorso dal giacimento che affiora lungo il confine tra Italia e Svizzera. Un sito noto in tutto il mondo e riconosciuto come Patrimonio dell’UNESCO; in territorio italiano è tutelato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Como, Lecco, Sondrio, Monza-Brianza, Pavia e Varese. Un giacimento preziosissimo, che oltre agli ittiosauri racchiude rettili semi-acquatici, pesci e invertebrati, fossilizzati in modo eccezionale grazie alla carenza di ossigeno di cui era periodicamente affetto il fondale marino. I sei Besanosauri ora individuati mostrano soprattutto variazioni di taglia e dunque rappresentano con ogni probabilità diversi stadi di crescita. Il più grande doveva raggiungere come detto gli 8 metri di lunghezza: un vero record tra i rettili marini predatori del Triassico medio, che di norma non superavano i 4-5 metri.  “Studiare questi fossili è stata una bella sfida. Tutti Besanosauri sono stati deformati dal tempo e dalla pressione delle rocce all’interno di strati sottili, spessi poche decine di millimetri: TAC medica e fotogrammetria ci hanno permesso di vedere le ossa nascoste o sovrapposte e di ricostruire le scatole craniche in 3D, osso per osso” sottolinea Cristiano Dal Sasso. “Il rostro estremamente lungo e sottile suggerisce che Besanosaurus si nutrisse di piccole prede veloci, attingendo ad un livello più basso della catena alimentare rispetto a un predatore apicale: era una specializzazione ecologica nuova, mai riscontrata in un grande rettile diapside marino prima del Triassico medio. Questo avrebbe innescato un aumento di taglia e abbassato la competizione tra le diverse specie di ittiosauri che coabitavano questa parte dell’Oceano di Tetide” dice Gabriele Bindellini dell’Università degli Studi di Milano, primo autore dello studio. 

Lavoro di squadra

I ricercatori italiani hanno iniziato il riesame di Besanosaurus più o meno un anno fa, quasi nello stesso momento in cui un altro gruppo di paleontologi comprendente Andrzej Wolniewicz (IP PAS, Varsavia), Feiko Miedema (SMNS, Stoccarda) e Torsten Scheyer (UZH, Zurigo) aveva iniziato a lavorare sugli esemplari svizzeri. “Anziché fare studi  paralleli abbiamo condiviso dati e impegno, tirando insieme la stessa fune per migliorare le conoscenze su questi affascinanti animali estinti”, conclude Torsten Scheyer. Rocambolesco in tempi di pandemia lo scambio di informazioni avvenuto fra i ricercatori, che spesso non si sono mai incontrati di persona e si sono visti al massimo via Zoom. “E rocambolesco è stato il nostro ultimo viaggio – ricorda Dal Sasso -: il dottorando che collaborava con il sottoscritto, Gabriele Bindellini, ed io dovevamo assolutamente arrivare in Germania, ma una tempesta bloccò tutti i voli. Noi riuscimmo ad acciuffare l’ultimo e arrivammo letteralmente ‘ballando’... Ma ne è valsa la pena: pochi giorni dopo è esplosa la pandemia da Coronavirus e tutti i viaggi sono stati annullati. Noi per fortuna eravamo riusciti appena in tempo a vedere quello che ci serviva al Museo di Tubinga”.