Mattarella ha deciso: niente più manifestazioni non autorizzate nelle città. Da mesi i cortei non autorizzati dei No-Green Pass occupavano strade e piazze di Milano e altre città in Italia, danneggiando commercianti e ristoratori che avevano denunciato perdite milionarie. La vicenda aveva portato ad una discussione pubblica sull’equilibrio tra libertà di manifestazione dei No-Green Pass e diritto al lavoro dei commercianti. A pochi giorni dall’ultimo appello, lanciato da ConfCommercio Milano, il Presidente della Repubblica ha stabilito il divieto di manifestazioni non autorizzate, precisando che qualunque violazione alla normativa e agli accordi sarà punita.
L’aumento dei contagi, anche a seguito delle manifestazioni, come nel caso di Trieste, e i danni ai commercianti hanno spinto il Viminale a prendere provvedimenti molto severi che hanno un merito: l’aver protetto la nostra democrazia. Le manifestazioni autorizzate, infatti, potranno continuare a svolgersi, così come i sit-in (meno impattanti sulle attività urbane), ma senza violare la libertà di impresa dei commercianti e la libertà di spostamento dei cittadini, messa a repentaglio per quindici weekend consecutivi in molte città (prima tra tutte, Milano) a seguito dell’introduzione del Green Pass.
La democrazia funziona quando i poteri si bilanciano tra di loro, anche quando questi sono esterni all’ambito strettamente pubblico, ma rientrano tra gli istituti intermedi che le società sono in grado di sviluppare e promuovere, come le associazioni di categoria. Il ruolo di ConfCommercio Milano, l’associazione di categoria che per prima aveva denunciato i rischi derivanti dalle manifestazioni no-Green Pass, è stato, probabilmente, determinante. La scelta del Viminale è un atto di grande coraggio, ma rientra perfettamente nei meccanismi di una democrazia evoluta.
Il peso di una sigla, di un istituto o di una figura pubblica si determina dalla capacità di intervenire sul processo di policy making. Per queste azioni servono legittimità, dati, influenza politica, capacità di organizzare e muovere il consenso. In un’epoca in cui alcuni politologi gridano al “pericolo influencer”, ovvero alla capacità di visibilità mediatica di alcune figure singole nell’orientare le politiche pubbliche, questa vicenda è una “rassicurazione”: il potere è un’altra cosa, e le democrazie, su questo, sono in ottima salute.