
Un volantino delle Brigate Rosse
Milano - Tra gli accertamenti svolti dal Ris di Parma nell’ambito della nuova indagine sulla sparatoria seguita al sequestro Gancia del 1975, e’ stata analizzata una macchina da scrivere che sarebbe stata usata da un brigatista riuscito a fuggire e mai identificato. Lo riferisce all’Agi l’avvocato di Bruno D’Alfonso, figlio del carabiniere ucciso. La macchina da scrivere fu “utilizzata probabilmente per redarre la relazione di molte pagine” che il brigatista “avrebbe consegnato ai suoi vertici” e gli inquirenti stanno dando grande attenzione “alla stesura della memoria rinvenuta nel covo Br di via Maderno a Milano nel gennaio 1976”, ha spiegato il legale Sergio Favretto. Mister X e’ l’uomo fuggito tra i campi dopo la sparatoria, il grande mistero mai svelato nonostante varie supposizioni.
Il legale del figlio di D’Alfonso, l’avvocato Sergio Favretto, dal cui esposto e’ nata la nuova inchiesta sulla sparatoria seguita al sequestro Gancia, riferisce che il 4 ottobre scorso sono stati svolti “alcuni accertamenti e compiute operazioni su oggetti e documenti rinvenuti nel covo Br di via Maderno a Milano nel gennaio del1976”. “In particolare - afferma con grande impegno tecnologico e scientifico, si e’ data attenzione a una macchina da scrivere utilizzata probabilmente per redarre la relazione di molte pagine che il Br fuggito dalla Spiotta avrebbe consegnato ai vertici delle Br e al contenuto e stesura della memoria rinvenuta nel covo. Si attendono gli esiti, non facili a distanza di anni”.
Il legale spiega che di grande utilita’ si e’ rivelato il libro ‘Brigate Rosse. “L’invisibile“ del 2021 scritto da Simona Folegnani e Bernardo Lupacchini. Il 18 gennaio del 1976 i carabinieri arrestarono nell’appartamento di via Maderno a Milano, dove erano nascosti, Renato Curcio e Nadia Mantovani. Tra i materiali sequestrati fu rintracciata una copia della relazione scritta personalmente dal brigatista Mister X sfuggito alla cattura alla cascina Spiotta sui fatti del 5 giugno 1975. Nel documento il terrorista descrive gli eventi con molti particolari fin dal momento in cui raggiunse la cascina dove era gia’ presente Margherita Cagol.
Il sequestro Gancia rappresenta uno dei passaggi ancora non del tutto chiariti nella storia degli anni di piombo. La mattina del 4 giugno del 1975 le Brigate Rosse rapirono l’industriale Vittorio Vallarino Gancia, figlio del proprietario della casa vinicola nota per la produzione di spumante. Il giorno dopo i carabinieri fecero irruzione nel covo alla cascina Spiotta d’Arzello, nell’Alessandrino. Nel corso dello scontro a fuoco che segui’ persero la vita il carabiniere Giovanni D’Alfonso e la brigatista Margherita Cagol, moglie di Renato Curcio, e restarono feriti due carabinieri, tra cui il tenente Umberto Rocca che perse un braccio e un occhio. Resto’ e resta il mistero su chi fosse l’uomo che scappo’ tra i campi.
Rocca disse di conoscerne il nome e di averlo incrociato piu’ volte ai processi dopo il suo arresto nel 1978, (“proveniva da Reggio Emilia”), ma di non averlo mai riferito all’ autorita’ giudiziaria perche’ il generale Dalla Chiesa gli spiego’ che la sua sola testimonianza non sarebbe stata sufficiente. “Chi l’aveva visto bene e gli aveva sparato era l’appuntato Pietro Barberis. Serviva la sua testimonianza. Non ci fu verso, per paura di rappresaglie. Ora che e’ morto, posso dirlo: non gli ho mai perdonato di non avere riconosciuto quell’ uomo” svelo’ nel libro di Stefania Podda, ‘Nome di battaglia Mara’ .