Milano, 21 marzo 2019 -«Ci hanno rapito, vogliono ucciderci». Lo hanno raccontato al telefono per chiedere aiuto, lo ripetono sfogandosi a turno davanti ai taccuini dei cronisti, Adam e Rami, compagni di scuola e di sventura, quando è tutto finito. Rami ha dato l’allarme ai carabinieri. «Quando ci ha tolto i telefoni, uno degli smartphone è caduto. Mi sono liberato le mani dalle corde, facendomi male». La stessa tensione che si scioglie anche nel racconto di Adam El Hamami, che ha sussurrato alla mamma la sua paura con il telefonino nascosto dal compagno. Ha 12 anni e si ferma fuori dall’istituto Margherita Hack di San Donato, lì dove i ragazzi della scuola media ‘Vailati’ di Crema sono stati trasportati dopo essere stati salvati. «Credevamo di morire», racconta Adam. Il papà, Khaled, di origine marocchina, non lo perde di vista mentre si districa tra le domande. Lo guarda pieno d’orgoglio. «Ha fatto piangere sua mamma – racconta smorzando i toni – Quando me lo ha raccontato ho pensato a uno scherzo. Poi ho capito che era la verità e sono andato dai carabinieri». Durante il viaggio, Adam, con il telefonino del compagno, è riuscito perfino a dare indicazioni. «Riusciva a darci una mappa precisa – spiega il papà –, ha riconosciuto il ristorante sulla Paullese in cui spesso andiamo a mangiare».
Come è cominciata?
«Eravamo usciti dalla palestra, dovevamo tornare a scuola. Sul pullman il conducente ha chiuso le porte e poi con una pistola ci ha minacciato. L’ha puntata alla testa del professore e gli ha detto di legarci ai pali vicino ai sedili con delle fascette. Ogni tanto urlava che ci avrebbe fatto esplodere. Diceva che i profughi muoiono in mare e noi saremmo dovuti morire bruciati. Una vendetta».
Cosa accadeva a bordo?
«Per ben tre volte il conducente si è fermato. Una volta per ritirarci i cellulari, le altre due per urlare e iniziare a rovesciare benzina. Pensavamo fosse il nostro ultimo giorno, per fortuna anche Rami incitava tutti a stare calmi. È stata dura: molti urlavano, piangevano. Per chiedere aiuto abbiamo anche provato a rompere il vetro con i calci o a segnalare agli automobilisti il numero 112 con le dita. Non ci siamo riusciti». E la tensione era alle stelle: «Eravamo molto spaventati – dice Rami – lo vedevamo spargere benzina».
Quanto è durato?
«Un’ora – prosegue Adam –. Quando abbiamo visto i carabinieri abbiamo tirato un sospiro di sollievo. L’autista ha iniziato a urlare che se ci avessero sparato saremmo saltati per aria. Poi i carabinieri hanno spaccato i vetri e forzato le porte, ci hanno fatto uscire. Lui iniziava ad appiccare il fuoco. È bruciato tutto: libri, giubbotti e i cellulari». «Anche i cellulari?», interviene papà Khaled. «Allora dobbiamo comprarne uno nuovo». Poi sorride, abbraccia il figlio e si allontana. Fiero. Una carezza ai capelli, e anche Rami va via. «Sì, è stata una cosa spaventosa», l’ultima frase.