GIULIA PROSPERETTI
Cronaca

Il terapeuta di Fagioli: “I calciatori hanno tempo e soldi, ludopatico uno su cinque”

I giovani sportivi sono molto esposti e per loro chiedere aiuto è difficile. Paolo Jarre: “La giocata crea un’altalena emotiva ingestibile e che dà dipendenza”

Il terapeuta di Fagioli: “I calciatori hanno tempo e soldi, ludopatico uno su cinque”

Roma, 12 aprile 2025 – “Essere un calciatore e avere tanti soldi non è un fattore di protezione, ma di rischio. I 12 calciatori emersi dall’indagine sono solo la punta dell’iceberg. Dei 500 calciatori di Serie A, credo che almeno 100-150 siano in questa situazione”. Ne è convinto Paolo Jarre, terapeuta del centrocampista in prestito dalla Juve alla Fiorentina, Nicolò Fagioli, tra i massimi esperti italiani sulle tematiche legate all’azzardo patologico, già direttore del Dipartimento ‘Patologia delle dipendenze’ dell’Asl TO3.

I calciatori Alessandro Florenzi, Nicolò Fagioli e Sandro Tonali, coinvolti nel presunto giro di scommesse illegali
I calciatori Alessandro Florenzi, Nicolò Fagioli e Sandro Tonali, coinvolti nel presunto giro di scommesse illegali

Cosa spinge giocatori milionari e giovani a rischiare la carriera per il gioco d’azzardo?

“I maschi fra i 18 e i 25 anni rappresentano la fascia di popolazione più a rischio per gioco d’azzardo tramite scommesse sportive. Altri fattori di rischio per questi ragazzi, spesso poco acculturati, sono il tanto tempo libero, i tanti soldi e la mancanza di interessi diversi dal calcio. Con gli smartphone, poi, l’azzardo è in tasca 24 ore su 24. Vincere o perdere non conta, chi gioca d’azzardo insegue lo stato di ebrezza determinato dalla giocata”.

Come ha detto Fagioli durante il suo percorso di riabilitazione, è una ‘risposta alla noia’?

“La noia è un fattore molto importante, soprattutto per ragazzi che non hanno sperimentato la piacevolezza dell’attesa perché tutti i loro bisogni sono stati soddisfatti prima ancora di trasformarsi in desideri. Nell’ambito di una vita emotivamente piatta, puntare, aspettare quei minuti per avere l’esito, perdere, riprovare, produce in loro un’altalena emotiva a cui non sono abituati e che dà dipendenza. Una dipendenza da dopamina innescata dall’attesa: l’incertezza è un motore potente che determina una cascata dopaminergica”.

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Il terapeuta Paolo Jarre

Gli sportivi, abituati alle emozioni forti delle partite, possono essere più predisposti a sviluppare tale dipendenza?

“Sono senza dubbio più predisposti, soprattutto se sono sportivi di successo. Come spiegava Fagioli durante i suoi incontri, ‘sicuramente non c’è nessuna giocata d’azzardo che vale un gol in serie A’. Però il gol dura poco, se ne fai tanti ne fai 20 in un’annata. Il gioco d’azzardo lo puoi fare 24 ore su 24. E vivere immersi in un ambiente ipocrita, pervaso della cultura dell’azzardo, in cui si parla di quote, con a bordo campo le pubblicità, non aiuta”.

È più difficile per i calciatori chiedere aiuto?

“La notorietà rende più difficile rivolgersi ai servizi pubblici. Si sentono maggiormente sottoposti a un pregiudizio morale. La gente è pronta a dire ‘ha tutto, è un cretino’. Ma si tratta di persone con le loro vulnerabilità dettate da motivi biologici, familiari, storie personali. Il più delle volte quando arrivano a chiedere aiuto, ormai hanno alle spalle grossi guai sul piano economico e finanziario ma anche relazionale”.

In cosa consiste il percorso di recupero?

“Il filone fondamentale è quello psicoterapeutico che punta a ripristinare un giusto approccio cognitivo rispetto al ruolo del caso. Molto spesso, infatti, i giocatori hanno dei pensieri distorti rispetto alla probabilità di vincita. Il secondo filone è quello emotivo, affettivo, volto ad affrontare un’eventuale depressione di fondo, una storia traumatica. Bisogna poi, lavorare sulla gestione del denaro. L’ultimo step è volto a ricucire le relazioni sociali e familiari”.

Parlando di lei, lo scorso anno, Fagioli ha detto: ‘Non posso dire di esserne uscito, altrimenti Paolo si arrabbia’.

“È meglio non dirlo perché la vulnerabilità rimane. Il rischio di ricaduta c’è sempre. Il cervello conserva la memoria e basta poco per riaccendere la dipendenza. L’atteggiamento deve essere quello di dire: ‘sono un giocatore ma non gioco da 20 anni”.