I tre rapitori improvvisati beccati dai carabinieri in un bed&breakfast dove stavano tenendo sotto chiave i fratelli accusati di aver rubato loro bitcoin e orologi, potrebbero essersi ispirati ai dettami del “codice barbarcino”.
Il terzetto protagonista della spedizione, infatti, viene dalla Barbagia, vasta regione montuosa della Sardegna centrale, nota per i paesaggi spettacolari e la natura rigogliosa, ma anche per la diffusione del fenomeno del banditismo.
Cosa è
Il codice barbaricino è stato, a lungo, un insieme di regole e norme comportamentali tramandate per via orale, in ambito agro pastorale. Per questo, quindi, ancora oggi è materia sfuggente e complicata da manovrare.
Una sua prima codifica risale agli anni ‘50, quando il filosofo nuorese Antonio Pigliaru ne tentò un’analisi all’interno del suo libro La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico. Secondo Pigliaru al centro del “corpus” di norme che riguardano tutta la comunità – e non solo il gruppo dei banditi – c’è la vendetta, da intendersi come atto di giustizia di cui deve farsi carico, appunto, tutta la comunità
L’interpretazione del filosofo è comunque contestata, nella comunità degli studiosi e anche da esperti e polemisti di origine sarda, come illustrato in un articolo uscito sulla testata online Sardegna e Libertà scritto da Paolo Maninchedda, in cui si parla di “libro indimostrato, che manipola le fonti in un discorso di straordinaria intelligenza filosofica”.
Com’è strutturato
Sempre seguendo il testo di Pigliaru il codice barbaricino è composto da 23 articoli, divisi in tre parti: i principi generali (dall’articolo 1 all’articolo 10), le offese (dall’articolo 11 all’articolo 17) e la misura della vendetta (dall’articolo 18 all’articolo 23). Nella parte centrale del codice vengono descritte le offese subite; dal furto all’insulto fino ad arrivare all’omicidio. Nell’ultima, invece, vengono motivate le sanzioni da applicare in seguito alle offese.
Le offese subite
Il primo articolo della parte dedicata alle offese stabilisce cosa “integra” (per usare un termine che ha fondamento nel nostro ordinamento giuridico) l’offesa: si ha quando l’evento commesso (quello che noi chiameremmo reato) viene premeditato e messo in pratica con l’obiettivo di ledere l’onorabilità e la dignità altrui.
Modalità di vendetta
Negli ultimi sei articoli si stabilisce come dovrà vendicarsi la persona (o la famiglia) che ha subito una delle offese descritte nei paragrafi precedenti. “La vendetta – si legge all’articolo 18 - deve essere proporzionata, prudente o progressiva”. Proporzionata perché può provocare un danno maggiore ma comunque analogo a quello subito, prudente perché va praticata quando c’è certezza della responsabilità dell’offesa iniziale e quando non si è riuscito a trovare una “pacifica composizione”, progressiva perché può aumentare o diminuire di virulenza a seconda del “verificarsi di nuove circostanze che aggravino ovvero attenuino l'offesa originaria”.
Particolarmente assertivo è l’articolo 21, secondo il quale “nella pratica della vendetta, entro i limiti della graduazione progressiva, nessuna offesa esclude il ricorso al peggio sino al sangue”.