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Cristina Mazzotti, rapita e uccisa senza pietà. I quarant'anni del caso che sconvolse l'Italia

Eupilio, fu sequestrata davanti a casa e ritrovata morta due mesi dopo di Roberto Canali

Cristina Mazzotti

Como,5 aprile 2015 - Quarant'anni sono una tappa importante nella vita di un uomo, ma spesso non bastano a dimenticare una storia maledetta, proprio come quella di Cristina Mazzotti, sequestrata la sera del 26 giugno del 1975 in quell’Italia divisa tra NAR e BR, non per motivi politici ma semplicemente perché era ricca. Festeggiava la maturità quella sera Cristina ed era con una alcuni amici quando un comando di uomini con il passamontagna a bordo di due auto, una Giulia e una 125, intercetto la Mini che era quasi arrivata di fronte alla villa dei Mazzotti, a Eupilio. Con le armi in pugno i banditi chiesero alle due ragazze di scendere, poi le interrogarono per sapere chi di loro due fosse Cristina. Lei non esitò un istante e si consegnò, gli amici Emanuela e Carlo furono gli ultimi a vederla viva mentre la caricavano sulla Giulia, poi furono legati mani e piedi e abbandonati a bordo dell’auto, lungo la strada. Ci volle un’ora prima che Emanuela riuscisse a sciogliere i nodi e dare l’allarme. All’ora non c’erano i cellulari, tutto era più lento e complicato, malgrado i posti di blocco di Cristina e dei suoi rapitori si erano già perse le tracce.

Iniziò quella maledetta sera un incubo fatto di telefonate, richieste di riscatto, ricatti, minacce tutto per impossessarsi dei soldi del padre di Cristina, Helios Mazzotti, un agiato industriale nel settore dei cereali, ai quali in prima battuta vennero chiesti addirittura 5 miliardi di lire, una cifra esorbitante per l’epoca. Iniziò così una complicata trattativa, fatta di appelli sui giornali da parte della famiglia, furibonde campagne stampa in cui si chiedeva d’inasprire le pene contro i rapimenti, che fino ad allora erano stati politici e non per denaro. A metà luglio i banditi decisero di abbassare la loro richiesta: un miliardo di lire. Questa volta papà Helios riuscì a raccogliere la cifra e dopo un paio di settimane, in gran segreto, consegnò la cifra in un appartamento di Appiano Gentile, ottenendo in cambio garanzie per il rilascio della figlia. Passarono due mesi di angoscia, ma Cristina non tornò mai a casa.

L’epilogo il primo di settembre del 1975, quando il suo corpo venne trovato in avanzato stato di decomposizione nella discarica di Varallino, vicino a Sesto Calende. Era stata sepolta in un fazzoletto di terra, sotto una carrozzina e una bambola rotta, l’autopsia accertò che si trovava lì da almeno 40 giorni e nessuno riuscì a dire con certezza se era già morta o respirava ancora quando la gettarono lì. Ci vollero alcuni mesi, seguendo a ritroso la pista dei soldi del riscatto, agli inquirenti per catturare tutta la banda. Più che banditi erano dei balordi, accecati dai soldi e dal miraggio della bella vita. Il primo a essere preso fu Libero Ballinari, arrestato in Svizzera mentre cercava di «ripulire» 90 milioni del riscatto in una banca, poi venne acciuffato Giuliano Angelini, con un brutto passato da squadrista e trafficante d’armi, insieme a lui la sua amante, Loredana Petroncidi e la sua ex-compagna, Rosa Cristiano. Alla fine furono processati in dieci, compreso un gelataio e un macellaio amante della bella vita. Il processo si chiuse con otto ergastoli e due condanne a 23 anni di carcere, ma papà Elios non c’era in aula, era morto l’anno prima di crepacuore.

di Roberto Canali