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Coronavirus, lo studio: "4 italiani su 10 refrattari a rispettare le regole"

La pandemia ha costretto i cittadini a cambiare le proprie abitudini, ma un terzo della popolazione lo trova difficile

Indossa la mascherina

Milano, 30 luglio 2020 - "Niente sarà più come prima". Una frase che si è sentita spesso durante il lockdown. E che, in effetti, ora è diventata realtà: la pandemia del Coronavirus ha costretto i cittadini di tutto il mondo a cambiare le proprie abitudini. Dal lavoro agli svaghi, dai viaggi alla più semplice uscita per andare a fare la spesa. Molte cose sono diverse.

Ma come si comportano gli italiani? "Ben più di un terzo, il 38% per la precisione, trova molto difficile cambiare le proprie abitudini di vita, anche se in gioco c'è la tutela dalla pandemia", ha detto la professoressa Guendalina Graffigna, docente di Psicologia dei consumi e direttore del centro di ricerca EngageMinds HUB, sintetizzando la problematicità dell'adattamento della popolazione alle regole ancora necessarie dopo la Fase 1 e la Fase 2 dell'emergenza da Covid-19: indossare la mascherina, igienizzarsi spesso le mani e rispettare il cosiddetto distanziamento sociale. La percentuale di persone che è riluttante a cambiare le proprie regole di vita e' molto elevata e va a incrociare variabili socio-demografiche. Questi numeri emergono da uno studio del centro di ricerca dell'Universita' Cattolica - condotto con un sondaggio con metodo CAWI (Computer Assisted Web Interview) su un campione di 1000 italiani rappresentativo della popolazione italiana.

La difficoltà ad adeguare le proprie abitudini alla nuova normalita' imposta dalla convivenza con il nuovo coronavirus è sentita maggiormente dagli uomini (43% contro il 38% medio complessivo), soprattutto se giovani (44% nella fascia tra i 18 e i 34 anni), residenti al sud e nelle isole (42%) e con un reddito di livello medio (47%). E tra coloro che vantano un titolo di studio elevato (laurea o oltre), la quota di italiani "in difficoltà" sale al 49%.

Ma c'è di più. La ricerca dell'EngageMinds HUB ha incrociato il dato di base con altri fattori psicologici. Coloro che percepiscono un rischio di contagio da Covid-19 elevato mostrano maggiore problematicità ad adattarsi alle misure di comportamento contro la pandemia rispetto alla popolazione generale, tanto che alla domanda "Sara' molto difficile per me cambiare le mie abitudini di vita durante la Fase 3?" rispondono "abbastanza vero" o "totalmente vero" il 47% degli intervistati" - precisa Graffigna.

A fare la differenza è anche il livello di coinvolgimento psicologico delle persone nella prevenzione (tecnicamente detto "patient engagement"): i ricercatori di EngageMinds HUB hanno studiato e validato scientificamente un indicatore che permette di misurare il livello di proattivita' e coinvolgimento delle persone nella salute e questo parametro spiega anche le differenti reazioni degli italiani alle misure di contenimento del contagio da nuovo Coronavirus. Infatti, secondo lo studio, coloro che risultano avere un alto livello di "patient engagement" percepiscono il cambiamento delle proprie abitudini di vita nel corso di questa Fase 3 come meno difficile rispetto alla popolazione generale, mentre coloro che sono in una posizione di basso coinvolgimento percepiscono piu' difficolta' nel cambiamento.

"Questa ultime elaborazioni, e in particolare il dato che attribuisce proprio alle persone più spaventate dal rischio di contagio una maggiore refrattarieta' ad adottare comportamenti di protezione dallo stesso contagio - continua la docente - mettono in luce la complessità psicologica delle reazioni degli italiani alle prescrizioni preventive Gran parte degli approcci tradizionali alla comunicazione preventiva ha puntato sull'emozione della paura quale leva principale per sensibilizzare la popolazione ad un cambio comportamentale. Tuttavia, come mostrato da questi dati, il processo di educazione e sensibilizzazione e' molto piu' complesso sul piano emotivo e psicologico, soprattutto per le fasce della popolazione piu' giovani e culturalmente piu' evolute. In questo caso spaventare o assumere toni troppo punitivi e severi puo' generare l'effetto opposto, di chiusura e di disattenzione verso il comportamento preventivo predicato. Al contrario veicolare una comunicazione valorizzante la possibilita' delle persone di diventare protagoniste nella gestione della propria salute e che coltivi il loro coinvolgimento attivo nella prevenzione, puo' risultare piu' efficace", conclude Graffigna.