
I posti di blocco nel Lodigiano
Milano, 6 ottobre 2020 - Chissà se, come ipotizzato dalla virologa Maria Rita Gismondo nell’intervista rilasciata in luglio al sottoscritto, il coronavirus scioglierà il suo assedio la prossima primavera. O se, come dichiarato più recentemente dai vertici dell’Oms, serviranno ancora due anni circa perché venga sconfitto. Al momento tutte le ipotesi restano aperte. Anche perché del Sars-cov-2, a molti mesi dalla sua comparsa, non sappiamo ancora moltissime cose. A cominciare dalla sua origine, rimasta misteriosamente avvolta nella nebbia di ipotesi scientifiche in contraddizione l’una con l’altra. Unica certezza, d’ora in avanti nulla sarà come prima. "Non sappiamo come saremo", scrive Gismondo nel suo saggio. "Molto dipenderà da noi, dalla lezione che sapremo imparare e ricordare".
Maria Rita Gismondo è la responsabile del laboratorio di Microbiologia clinica dell’Ospedale Sacco di Milano. Quello dove, il 21 febbraio 2020, viene diagnosticato il primo caso di Covid 19 non importato dalla Cina. È una data cruciale, perché inaugurerà una fase storica e politica senza precedenti e perché cambierà di lì a poco abitudini e vita privata di tutti gli italiani. Già il giorno successivo, il 22 febbraio, il governo guidato da Giuseppe Conte istituisce le prime "zone rosse", per delimitare i due focolai scoperti nel Lodigiano e a Vo’ Euganeo. Da Codogno, in provincia di Lodi, arrivava il primo tampone risultato positivo nel laboratorio del Sacco. E dieci sono i comuni che, nella stessa provincia, vengono chiusi con un decreto del presidente del Consiglio e blindati, ai confini, da cordoni e pattuglie delle forze dell’ordine.
Per la redazione del Giorno lo stato di emergenza si rivela una realtà tangibile e immediata. Tiziano Troianello, uno dei due autori di questo libro, vive a Codogno. E lì siamo costretti a confinarlo, immediatamente, in ottemperanza ai protocolli sulla sicurezza e alla direttive governative. Glielo comunichiamo, non senza imbarazzo, non appena arriva in redazione, come ogni mattina, a Milano. Si rivelerà una fortuna. Troianello, continuando a lavorare da casa grazie alla formula dello smart working, permetterà ai lettori del Giorno di avere informazioni quotidiane e puntuali direttamente dall’interno della "zona rossa". Svelando così, anche con testimonianze in prima persona, i particolari di una vita costretta, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, entro confini resi invalicabili con un decreto.
Immediata la presa di coscienza di un altro problema: chiudere un territorio di dieci comuni, con oltre 55.000 persone all’interno, significa lasciare l’intera zona e suoi abitanti anche senza informazione. Neppure i giornali, infatti, possono inizialmente varcare dall’esterno i confini della zona rossa. Come Giorno decidiamo di intervenire. Il nostro quotidiano, da anni, al Lodigiano dedica un’intera edizione, con notizie su quegli stessi comuni che il governo ha deciso di isolare. Chiamo il prefetto di Lodi, Marcello Cardona. Che già al mattino del 23 febbraio, qualche ora prima che le forze dell’ordine chiudano i confini dell’area, si rende disponibile a trovare una soluzione. Chi vive una situazione così difficile e, fino ad allora, inedita come quella non può restare senza giornali. C’è un diritto ad essere informati che è previsto da uno degli articoli della Costituzione italiana. Precisamente, il numero 21. Mi trovo a scriverlo, in prima pagina, nell’edizione del 25 febbraio, dopo che, con rammarico mio e dei colleghi, l’auspicata soluzione tarda ad arrivare. Il Giorno vuole avviare una distribuzione gratuita del quotidiano all’interno della "zona rossa" per garantire la fruizione delle notizie a quell’opinione pubblica che, per evidenti motivi, in quel momento ne ha più bisogno. Ci riusciremo, nelle ore successive, grazie anche all’intervento dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, sceso in campo al nostro fianco.
Le cronache si popolano di piccole, grandi storie che raccontano a volte di dolorosissime tragedie e, altre, di esempi di grande coraggio e solidarietà. La Lombardia si trova a pagare sulla sua pelle il prezzo altissimo di una pandemia che sembra inarrestabile e crudele. L’Italia intera si fema. Le tappe di quella fase drammatica sono tutte in questo libro, ricostruite dagli scritti di Gabriele Moroni, storico inviato del Giorno, e da quelli di Tiziano Troianello, responsabile dell’edizione di Lodi. Suo è il viaggio nei paesi spopolati dalla paura dopo la creazione della "zona rossa" a Codogno. Di Moroni le cronache dal resto della regione e, soprattutto, dell’ecatombe di Bergamo. La pandemia ha ucciso medici, infermieri, parroci, gente comune spirata nel proprio letto, nelle terapie intensive degli ospedali o nelle case di riposo. Oggi molte di quelle morti sono oggetto delle inchieste avviate dalla magistratura. Prima fra tutte quella della Procura di Bergamo sulla mancata costituzione di una "zona rossa" a Nembro e ad Alzano Lombardo.
L’immagine, tragica, dei camion militari che trasportano le bare da trasferire lontano da Bergamo per le cremazioni è l’ultima che ricordo prima di essere io stesso ricoverato in ospedale per una polmonite interstiziale da Covid 19. Era il 27 marzo e la pandemia aveva già stravolto la vita di tutti. Sgomento, paura, dolore per i lutti e l’incubo di evitare il contagio senza poter acquistare agevolmente mascherine e gel disinfettanti, diventati introvabili. Vietato uscire di casa, se non per recarsi in farmacia o a fare la spesa. Code, fuori dai supermercati, causa gli ingressi contingentati. Diverso e in solitaria anche il modo di lavorare nei giornali. Il Giorno stava sperimentando, per la prima volta nella sua storia, la formula del lavoro agile. I colleghi, chiamati a operare con guanti e mascherine, hanno comunque garantito la puntualità dell’informazione, dimostrando grande impegno e senso di responsabilità. A tutti loro, oltre che alle famiglie che hanno vissuto l’esperienza della pandemia, è dedicato questo libro. Un grazie, a nome dei due autori, voglio esprimere a chi ha raccontato il suo vissuto, riempiendo di umanità le cronache del nostro giornale, in parte riproposte in questo volume. Tra loro anche medici e operatori sanitari. A loro va un ringraziamento per il lavoro svolto con generosità e sacrificio.
La morsa del coronavirus non ha ancora mollato la presa. Ma oggi è più facile circoscrivere i nuovi focolai ed evitare i decessi dei malati. Si può guarire, come successo a chi scrive, grazie alle strade testate via via dai vari medici, ricorrendo a farmaci diversi. Nel mio caso a sconfiggere la polmonite da Covid è stato un noto antimalarico. In attesa del vaccino, è con speranza che dobbiamo guardare al futuro, soprattutto nella prospettiva di dover ancora convivere col coronavirus Sars-cov-2. Altamente simbolica, a questo riguardo, la storia - ricordata in questo libro - di Alessandra Pedroni che, a Cremona, diventa mamma della sua terza bambina in piena pandemia. La vittoria della vita su tanto immenso dolore.