Rho (Milano), 5 febbraio 2023 - "Lui è morto perché voleva giustizia per gli altri. Aveva visto tante cose in carcere e le aveva scritte su alcuni biglietti perché voleva che noi sapessimo. Noi andremo avanti per lui e soprattutto per conoscere la verità sulla sua morte". Accarezza e bacia la bara, Branka Milenkovic, madre di Daniel Radosavljevic, 20 anni, cittadino italiano, trovato impiccato nel carcere di Grasse in Costa Azzurra, dove si trovava in custodia cautelare dopo l’arresto dello scorso 8 gennaio.
Questo l’antefatto: il 26 agosto nell’area di servizio Sesia Est della A26, in provincia di Vercelli, il 20enne a bordo di un T-Max rubato era sfuggito alla polizia al termine di un inseguimento. A ottobre a Cannes aveva speronato le auto della Gendarmeria su un pick-up. Accusato dall’Autorità Giudiziaria francese di inottemperanza all’ordine di fermo e tentato omicidio di un pubblico ufficiale, grazie alla cooperazione internazionale gli investigatori italiani erano riusciti a fare emergere nuovi elementi a carico del giovane che avevano portato al suo arresto. Il 25 gennaio ci sarebbe stata l’udienza per la convalida del fermo: "il nostro legale aveva contestato subito tutte le accuse rivolte a Daniel", racconta la famiglia. Il 15 gennaio Branka sente per l’ultima volta al telefono il figlio: "Stava bene, non mi aveva mai raccontato nulla di quello che succedeva in carcere, forse perché non voleva che mi preoccupassi". Tre giorni dopo, il 18 gennaio, una nuova telefonata dal carcere, ma questa volta è la direzione: Daniel si è impiccato in cella durante il regime di isolamento.
La famiglia fin da subito non crede al suicidio. "Daniel era il mio raggio di sole e aveva tanti progetti per il futuro. Per darmi una mano aveva fatto tanti lavoretti in questi anni, adorava la sorella e il fratello più piccolo". Il legale della famiglia prende immediatamente contatto con il carcere francese. Finalmente una settimana dopo Branka, accompagnata dal fratello, va a Grasse per vedere la salma del figlio. "Non ci hanno trattato bene", racconta pensando a quel terribile giorno. Le consegnano gli effetti personali di Daniel, ci sono anche alcuni fogli manoscritti. Ma poi con una serie di scuse la fanno attendere un giorno. Quando finalmente riesce a vedere il corpo del figlio oltre ai lividi sul collo (probabilmente riconducibili all’impiccagione) nota alcuni segni sospetti, come se fosse stato picchiato. Chiede cosa sia successo, ma non riceve nessuna risposta. Ma intanto a confermare quello che dice la mamma - "non è stato un suicidio" - ci sarebbero anche altre prove sulle quale per il momento preferisce tacere. I famigliari pensano che non sia stata raccontata la verità: "Non ci fidiamo di quello che è stato scritto sui documenti dalle autorità francesi. Faremo un’autopsia anche qui in Italia".
Sbrigate tutte le pratiche necessarie da lunedì scorso la salma di Daniel è tornata a Rho, la città dove era nato e cresciuto. La salma si trova in una cappella del cimitero, l’autopsia è stata disposta per mercoledì all’Istituto di medicina legale di Milano, poi sarà fissata la data del funerale. In quella cappella Daniel e la sua mamma non sono mai rimasti soli. Nemmeno per un attimo. Da giorni c’è un continuo viavai di amici e conoscenti. Decine di mazzi di rose blu, ceri e pupazzi, testimoniano l’affetto di chi lo conosceva. La mamma ha esaurito le lacrime. La forza per fare chiarezza su quello che è successo nel carcere di Grasse, quella no. Ora non riesce ad allontanarsi dalla bara, ha bisogno di stare ancora con Daniel, prima di dargli l’ultimo saluto, poi arriverà il tempo per conoscere la verità.
La famiglia ha intenzione di chiedere aiuto anche alle istituzioni italiane e ha chi questa battaglia l’ha già combattuta, come Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto mentre era in custodia cautelare nel carcere di Regina Coeli.