Faceva freddo quel 30 gennaio 2002 a Montroz. Erano da poco passate le 8.30 quando era arrivato l'allarme nella piccola frazione di Cogne, in Valle d'Aosta. Esattamente alle 8.27 Annamaria Franzoni, madre di due bimbi, chiama nell'ordine la dottoressa Ada Satragni, la centrale del 118 e l'ufficio del marito. Il motivo è che il figlio giace nel letto della coppia in condizioni gravissime. Il bimbo, Samuele Lorenzi dell'età di 3 anni, sarà dichiarato morto poco dopo. E questo decesso da quel momento sarà conosciuto come il delitto di Cogne. Da quella mattina del 30 gennaio 2002 sono trascorsi vent'anni e per la morte di Samuele Lorenzi l'indagata principale, per non dire di fatto l'unica, è sempre stata la madre Annamaria Franzoni. Condannata nel 2008 in via definitiva dalla Corte di Cassazione a sedici anni, oggi è libera per buona condotta dopo aver scontato sei anni di carcere e cinque agli arresti domiciliari, oltre ad aver goduto anche di tre anni di indulto. All'inizio le piste seguite da investigatori e inquirenti sono state numerose: delitto satanico, opera di un pedofilo, di un mostro che vagava indisturbato per le montagne. ;Ma dopo non molto tempo il cerchio si è stretto attorno alla famiglia, sino ad arrivare a un nome: quello di Annamaria Franzoni, madre della vittima. Un delitto efferato, un delitto impossibile anche solo da immaginare: una madre che uccide un figlio. Qualcosa che la mente umana fatica a elaborare come possibile. Eppure quello di Annamaria Franzoni è sempre stato di fatto l'unico vero nome sul quale investigatori e inquirenti hanno sempre indagato. E sul quale si sono concentrati i sospetti sin da subito. Anche perché proprio la madre del piccolo Samuele era, secondo alcune ricostruzioni, l'unica persona presente nella villetta di Montroz in quel momento insieme al figlio Samuele Lorenzi. Ma è davvero andata così? Nelle aule di tribunale viene stabilita la verità processuale, che può essere quella reale ma può anche non esserlo. Oggi, vent'anni dopo l'omicidio di Samuele Lorenzi, una colpevole è stata individuata dai procedimenti legali ma tanti interrogativi rimangono aperti.
La telefonata
"Mio figlio ha vomitato sangue, non respira. Abito a Cogne. Fate presto, vi prego. Cosa devo fare? La prego sta male": nella telefonata al 118 Annamaria Franzoni è una madre realmente allarmata e agitata. Atteggiamento che, ad esempio, non si riscontra nella telefonata al 118 di Alberto Stasi, accusato dell'omicidio di Chiara Poggi a Garlasco in provincia di Pavia. Annamaria Franzoni chiede aiuto perché, perlomeno a giudicare dal tono di voce e dalle pause sospiranti della donna, si trova davvero in grande difficoltà.
Le macchie
La bloodstain pattern analysis, ovvero quella disciplina che si occupa dell'analisi delle macchie di sangue sulla scena del crimine, ha evidenziato un dato praticamente incontrovertibile: chi ha ucciso il bimbo doveva trovarsi sul letto in cui era Samuele. E altrettanto probabilmente doveva avere indosso il pigiama della madre. O, secondo altri, doveva avere molto vicino questo indumento, peraltro piegato in un preciso modo a giudicare dalle macchie ematiche che vi sono state trovate sopra. Proprio sulle macchie di sangue su pigiama e ciabatte della donna si è svolta la battaglia a colpi di perizie che alla fine ha condotto all'incriminazione di Annamaria Franzoni. D'altro canto, manca la risposta a un interrogativo fondamentale: chi sarebbe entrato in casa, senza lasciare apparentemente tracce evidenti, si sarebbe seduto sul letto matrimoniale in cui si trovava il bimbo e lo avrebbe ucciso fuggendo subito dopo? Ma, soprattuttto, chi avrebbe potuto entrare in casa, indossare il pigiama e gli zoccoli della madre di Samuele, colpirlo a morte e poi fuggire in un ristrettissimo arco di tempo? E perché avrebbe dovuto indossare pigiama e zoccoli se non fosse stato Annamaria Franzoni?
Il televisore
Annamaria Franzoni, in più di una ricostruzione di quella mattina del 30 gennaio 2002, racconta di aver lasciato acceso il televisore quella mattina prima di uscire per portare Davide, il figlio maggiore, alla fermata del bus. Il motivo? Fare in modo che se Samuele si fosse svegliato sarebbe rimasto tranquillo credendola in casa. Però, come fanno notare Armando Palmegiani e Fabio Sanvitale nel libro "Amnesie", se il bimbo stava dormendo al piano di sopra e la tv era accesa a un volume udibile solo stando al primo piano. I due esperti si interrogano: perché aggiungere quindi un dettaglio falso? Forse per dimostrare che quando lei è uscita di casa il figlio era ancora vivo. O forse perché in realtà, sostengono Palmegiani e Sanvitale, ha sovrapposto più piani: la realtà di quella mattina e la consuetudine di altre giornate.
Frasi avventate
Da quel "Ne facciamo un altro di figlio? Mi aiuti a farne un altro?" domandato al marito Stefano pochi minuti dopo l'arrivo dei soccorsi sul luogo della morte del figlio fino al celebre "Ho pianto troppo?" durante un fuorionda di un'intervista televisiva, passando per "Samuele era bello, era bello il mio bambino. Ma io me lo sentivo che sarebbe morto" ripetuto due volte all'amica e dottoressa Ada Satragni. Annamaria Franzoni, seppur assistita legalmente da grandi nomi delle aule di tribunale, non sempre è stata brillante dal punto di vista comunicativo. Le frasi infelici da lei pronunciate, però, non la rendono di certo un'assassina. Ma lasciano qualche indizio di cui è bene tener conto: che Annamaria Franzoni abbia rimosso mentalmente, volontariamente o involontariamente, qualche gesto compiuto? Magari proprio l'uccisione del figlio? Questa è la teoria di alcuni esperti ancora oggi.
L'orario
La dottoressa Ada Satragni e Leonardo Iannizzi, medico a bordo dell'elisoccorso, sostengono di essere arrivati in posto e di aver trovato il piccolo Samuele ancora vivo. In condizioni molto critiche, ma ancora vivo. Eppure Francesco Viglino, medico legale responsabile dell'autopsia, è stato chiaro: il bimbo aveva già smesso di vivere. Quindi chi ha ragione? Il verdetto di Viglino, quindi, sposta indietro le lancette dell'ora dell'omicidio di almeno 10-12 minuti: dalle 8.27 alle 8.17. Orario che potrebbe rimettere in gioco la posizione di Annamaria Franzoni. La quale a quell'ora, stando ad alcune testimonianze, era alla fermata del pulmino ad accompagnare l'altro figlio ovvero Davide.
L'arma del delitto
C'è chi sostiene che i colpi inferti dall'assassino al piccolo Samuele siano compatibili con un oggetto di uso domestico, come ad esempio un pentolino. Il dato di fatto, però, è che l'arma del delitto di Cogne non è mai stata trovata. Mai nessuna macchia di sangue su nessun utensile di casa Lorenzi, mai nessun oggetto mancante dalla cucina o dal resto della casa. Il bimbo è morto a causa delle conseguenze dei 17 colpi che gli sono stati inferti e sulla sua testa sono state trovate tracce di rame: che si sia trattato davvero di un paiolo o di un pentolino in rame? Vent'anni dopo il delitto, tuttavia, la domanda rimane la stessa: che fine ha fatto l'arma del delitto?