Milano, 19 novembre 2017 - «Il mio laboratorio di Milano è più bello di quello di Harvard». Dopo una dozzina di anni al Boston Children’s Hospital, Paolo Fiorina, Assistant professor alla Harvard Medical School, aveva deciso di scommettere sull’Italia prendendo, insieme al volo di ritorno, anche le redini del Centro di ricerca pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi, che stava per nascere. Tredici mesi più tardi, in tempi record, il primo risultato straordinario, che è valso la pubblicazione su Science Translational Medicine, gli dà ragione: non solo il suo team è riuscito a correggere il diabete di tipo 1 nel topo, ma le sperimentazioni sull’uomo sono vicinissime e ci sono già fondazioni anche meneghine pronte a investire. Sfata tabù, Fiorina, da quello dei cervelli in fuga all’impossibilità di fare ricerca in Italia: a Milano si può. E la prova del nove arriva proprio alla vigilia del verdetto sul trasloco della nuova sede dell’Agenzia europea del farmaco. Tre gli step che hanno portato al risultato: «Prima abbiamo studiato le cellule staminali di topi e di pazienti diabetici – spiega il professor Fiorina – e abbiamo scoperto che avevano un difetto di una molecola che si chiama PD-L1, una sorta di “interruttore”, che deve funzionare bene per potere accendere o spegnere il sistema immunitario». Difetto che poi è stato corretto, utilizzando anche la terapia genica. «Abbiamo iniettato le cellule corrette nel topo diabetico, curandolo, normalizzando la glicemia – continua Fiorina – e abbiamo dimostrato in vitro che la correzione del difetto spegne l’autoimmunità nell’uomo».
Il passaggio successivo? In vivo, nell’uomo. A Milano c’è chi è già pronto a investire per arrivare al trial clinico nei primi mesi dell’anno nuovo. Si viaggia veloci. Servono finaziamenti: un milione di euro solo per costruire un vettore virale, per la sperimentazione clinica servono un minimo di 5 pazienti e altri due o tre milioni. «Si sono già fatti avanti sia privati che fondazioni, anche milanesi, che vogliono partecipare ed è una bella notizia, non voglio essere troppo ottimista ma immagino un 2018 con annunci importanti». Fiorina, originario di Gandellino, nella bergamasca, continua ad avere una base in America ma non ha rimpianti per quel viaggio controcorrente. «La realtà dell’ospedale Buzzi, Fatebenefratelli, Sacchi e Macedonio Melloni è internazionale, ti dà una dimensione europea e una numerosità di casi che ci consente di reclutare e di fare clinical trial. La fondazione Invernizzi ci ha aiutati a creare un centro di ricerca unico». Che attrae cervelli: insieme a tre professori lavorano cinque ricercatori e una decina di post-doc, neolaureati in medicina o in biologia: «Sono l’anima della ricerca», conferma Fiorina.
Cuore pulsante, l’università pubblica: «La dirigenza è stata lungimirante – ricorda il prof di Endocrinologia –. Siamo attenti alle spese, abbiamo personale amministrativo ridotto all’essenziale, cerchiamo di avere una gestione moderna dei finanziamenti con pubblicazioni, mirando a brevetti. E abbiamo un risultato via l’altro: abbiamo appena scoperto un’altra mutazione importante che può avere un ruolo nel rigetto». Ma il sogno più grande di Fiorina è uno, e vuole centrarlo qui: «I miei capi mi hanno spinto a sognare in grande. Sogno un clinical trial che dimostri la possibilità di curare il diabete di tipo 1 e sogno di dire: ecco, su 10 bambini arrulati almeno 6 sono guariti, se poi sono 10 su 10 è meglio. Vorrei “solo” questo, tutto il resto è relativo».