A distanza di sessant’anni dal disastro del Vajont, quando l’intero costone di una montagna franò nel lago artificiale di una diga falciando migliaia di vite, dopo anni di allarmi nascosti o ignorati, ripubblichiamo uno degli articoli scritti dall’inviato del Giorno Giorgio Bocca, uscito il 14 ottobre 1963.
Quella casa isolata
Belluno, 13 ottobre 1963. Una sola casa, una sola famiglia: adesso il villaggio sono loro, i Pilon, non ne restano altri di Pirago. Umberto Pilon, il vecchio, in ospedale; Luigi Pilon, il giovane, in questa locanda sulla strada per Feltre, con le donne e i bambini. Essere vivi per caso, ricordare la catena di casualità per cui si è vivi, rendersi conto di come fosse fragile. E godendo il privilegio capirne la tristezza: “La casa la chiuderemo — dice Luigi Pilon. — Si può vivere in mezzo a un cimitero?”. La storia dei Pilon è fatta di tante storie, tante quanto sono i superstiti. Il vecchio, ammalato di cuore, il più stanco, il meno valido, che salva la famiglia: un bambino di 18 mesi in una culla già piena d'acqua; una donna incinta di otto mesi; una vecchia calma e coraggiosa. Questi, che erano in casa, e poi la storia particolare di Luigi: un uomo che scarta tutto il mazzo delle probabilità fino all'ultima carta, quella del privilegio miracoloso. Un uomo di nervi solidi. Dunque, la sera della tragedia Luigi Pilon è a Monaco di Baviera. Sua moglie è tornata in Italia, sta nella casa di Pirago, la bella casa con le coppie di pilastri, nel punto più alto del villaggio. I Pilon vogliono che il bimbo nasca in Italia, fra pochi giorni Luigi chiuderà la gelateria e raggiungerà i suoi nell'alta valle del Piave. La mattina di giovedì Luigi è svegliato da una telefonata, poco dopo le otto. È un conoscente tedesco. “Signor Pilon sbaglio o lei è di un paese che si chiama Longarone?”. “Sì — dice Luigi —, una frazione di Longarone”. “Ci sono due Longarone in Italia?”. “Non credo, una solo”. “E c'è una diga vicino a Longarone?”. “Sì”. L' informatore meticoloso esita. “Cos'è successo?” — chiede Luigi.
Disperati
“Signor Pilon” — fa l'altro “parta subito per l'Italia”. Luigi si veste, corre al consolato. Gli dicono che la diga è caduta e che ci saranno trecento morti tra Longarone e Pirago. Luigi va a prendere il cognato Benito Munarini, si danno il cambio alla guida dell'automobile, due multe per eccesso di velocità, ma non importa. Luigi pensa ai suoi e prega Sant'Antonio, il santo che fa trovare le cose perse. Sono a Dobbiaco a mezzogiorno. Luigi riconosce uno di Longarone fermo con la sua automobile a un distributore di benzina. È venuto a prendere un parente, lo informa che a Longarone sono rimaste in piedi una decina di case. “E a Pirago?”. “Una, mi pare — risponde quel tale —, sì mi pare proprio una, la più grande”.
Una su cento. C'è da impazzire. Sì la casa è grande, era la più grande e la più bella, la casa nel paese dopo sette anni di lavoro in Germania, ma chi può sperarci? L'automobile di Luigi passa Cortina, scende a Pieve di Cadore, si incrociano le autoambulanze, i camion militari, arriva a Castel Lavazzo, si ferma di fronte alla terra di nessuno. "Non andate — dicono i carabinieri —, non si può andare”. Luigi salta giù, si fa largo, corre a Longarone, non guarda i superstiti, non guarda la valle, non guarda i soldati, ma quella casa. C'è una casa, lassù, sul pendio, ma non può essere, da Longarone non si vedeva, c'era il bosco davanti. Qualche attimo per capire che tutto è diverso, spariti i vecchi punti di riferimento, spazzati via gli alberi, le case. Meno quella. Gli pare, dev'essere proprio quella, vuole crederci e non può, corre, finalmente riconosce i doppi pilastri, i segni inconfondibili.
Uno di Longarone gli grida che il padre è salvo; un vigile del fuoco di Belluno gli dice che sono salvi tutti, ma Luigi corre su per il pendio. Il pavimento del piano terreno coperto da mezzo metro di fango; il primo piano distrutto. Il vecchio ha lasciato ai soldati che ora guardano l'edificio un messaggio per Luigi: “Ti aspettiamo dai Buzzati a Tribano”.
Coraggio
Quando Luigi arriva a Tribano, il vecchio è coricato, hanno già chiamato il dottore, fra poco lo porteranno in ospedale. Quella notte stavano guardando la televisione quando si è sentito il rombo e la ventata. Hanno capito subito. Il vecchio ha aiutato la moglie di Luigi a salire al secondo piano. Quando è ridisceso, l'onda, la parte morta dell'onda, era già penetrata nella casa, la culla dei nipotino quasi sommersa. Il vecchio ha preso il bimbo e la sua donna, non ha gridato, non ha invocato: anche se debole è riuscito a raggiungere le scale, salire di qualche gradino, prima che piombasse l'onda di ritorno che si è portata via muri, saracinesche, la macchina, i mobili. Ecco la storia dei Pilon, diversa dalle altre solo perché la serie delle casualità tragiche si è fermata al primo piano della loro casa. Un uomo biondo sui 30 anni che fa il gelataio a Monaco di Baviera; un uomo con i capelli grigi sui 60 anni che sta in ospedale e che ha il cuore ammalato; le donne, il nipotino nato, quello che deve nascere, tutto ciò che resta di Pirago, dopo secoli di fatiche, di tradizioni e di memorie. “La casa voglio ripararla — dice Luigi — ma chi ci potrà abitare”. Luigi ha ragione: una casa sola, quando viene il buio, nella terra dei morti.