FEDERICA PACELLA
Cronaca

Brescia, la battaglia delle famiglie arcobaleno: "Che ingiustizia essere mamme solo se lo decide un altro"

Le storie di Laura, Silvia e Francesca che hanno bambini con altre donne: "Confronti con psicologi e assistenti sociali. Ma il Tribunale sarebbe stato doloroso"

Francesca, Silvia e Laura: donne compagne di donne e con figli

Brescia, 5 aprile 2023 -  Quando l’assistente sociale ha incontrato per la prima volta Carla (nome di fantasia), 6 anni, e le ha chiesto di disegnare la sua famiglia, la bambina ha fatto un bellissimo disegno in cui le sue due mamme, lei e il fratellino di 4 si tenevano per mano, sorridenti. "Ma avrei potuto fargliene vedere tanti altri, tutti così. L’assistente sociale ci ha detto che sarebbe potuto bastare quel disegno per capire tutto".

Francesca, mamma biologica dei due bambini, ha dovuto affrontare la strada dell’adozione speciale perché anche la moglie fosse riconosciuta come genitore dei loro bambini. Una situazione comune alle coppie omogenitoriali italiane, soprattutto dopo che il Governo ha bloccato le iscrizioni con cui i Comuni (non tutti) riconoscevano figli e figlie di genitori dello stesso sesso. A Brescia, in realtà, il Comune non lo ha mai permesso, per cui per qualche anno le coppie hanno perseguito altre strade, facendo ricorso al Tribunale ordinario, fino a che, nel 2021 , una sentenza della Cassazione ha bloccato anche questa strada. Ora l’adozione resta la via per ottenere il riconoscimento e le tutele dei bambini, ed in effetti si rileva già una crescita delle richieste. Tuttavia, resta una soluzione con implicazioni emotive importanti, oltre che economiche.

Lo raccontano , nella sede bresciana di Orlando-Arcigay, Francesca, Laura e Silvia, tre mamme che possono testimoniare tutti gli step del percorso: Francesca lo ha appena concluso, Laura è stata tra le prime a intraprenderlo nel 2016, Silvia lo ha appena avviato. "Per noi il via libera è arrivato l’8 marzo, anche se sulla carta d’identità continua a essere scritto mamma e papà – racconta -. Prima abbiamo provato di tutto, dalla richiesta di iscrizione all’anagrafe del Comune al ricorso in Tribunale. A settembre, quando è arrivato questo Governo, abbiamo ritirato tutto e intrapreso da sole la strada dell’adozione. Non a cuor leggero: abbiamo dovuto far scandagliare la nostra vita, la relazione con i nostri figli per farci dire da un Tribunale che possiamo essere entrambe genitori. Abbiamo incontrato professioniste bravissime, ci hanno detto che vedono talmente tante famiglie disastrate che con noi sembrava una vacanza".

Laura , invece, è stata tra le prime a chiedere l’adozione, nel 2016 (attraverso gli avvocati di Rete Lenford e Famiglie Arcobaleno), ma la sentenza è arrivata 4 anni dopo. "Non è solo una tutela giuridica, ma anche sociale, perché più crescono più i bambini percepiscono che c’è un intorno che non li riconosce – spiega -. Per legge, ho dovuto presentare anche l’autorizzazione di mia madre, anche se non sarebbe stata riconosciuta come nonna (ora, invece, la parentela è riconosciuta, ndr )". La legge 183 del 1984 era nata, in effetti, per facilitare l’adozione in situazioni particolari, di bimbi dati in affido, per cui è prevista la dimostrazione di un consolidamento di un rapporto che, nel caso di coppie di genitori dello stesso sesso c’è già dalla nascita. "Il riconoscimento sin dalla nascita – commenta l’avvocata bresciana Ippolita Sforza - sarebbe il percorso più giusto, come avviene in altri Paesi europei. Quello delle adozioni porta a confrontarsi con servizi sociali, psicologi, carabinieri. Inoltre richiede tempo e l’esito non è scontato".

Silvia ha avuto il suo bimbo un anno fa. "Pur dispiaciuti, all’anagrafe del Comune ci hanno detto che l’iscrizione non era possibile. Non ce la siamo sentita di intraprendere il percorso del Tribunale ordinario, emotivamente non saremmo state in grado di gestire il rifiuto. Abbiamo optato per l’adozione". Tutte percepiscono l’ingiustizia di dover dipendere dalla valutazione di un servizio sociale o di un Tribunale, quando nella vita reale si è a tutti gli effetti una famiglia. "Mia moglie – conclude Silvia, che è la mamma biologica del bambino – mi ha detto di essere un po’ spaventata dall’idea che qualcuno possa giudicare il rapporto che sta costruendo con il nostro bambino. Purtroppo non ci sono alternative".