FEDERICA PACELLA
Cronaca

Crisi meteo: di quanto si sono ristretti i ghiacciai lombardi e cosa sono i fossili climatici

L’analisi effettuata dal Servizio glaciologico lombardo svela una situazione complicato soprattutto sotto i 2.700 metri di altitudine

La difficile situazione del ghiacciaio dell’Adamello-Mandrone

Milano – Deficit di accumulo nevoso tra il 20 e il 30% sui ghiacciai lombardi: le nevicate tardo primaverili hanno evitato la fusione precoce registrata nel 2022, anche se la neve è scomparsa con un mese di anticipo. E soprattutto sotto i 2.700 metri si soffre di più: la maggior parte dei ghiacciai alpini lombardi sono, così, “fossili climatici“.

Sono alcuni elementi che emergono dal bilancio invernale 2022/2023 del Servizio glaciologico lombardo, curato da Amerigo Lendvai, Riccardo Scotti e Giovanni Baccolo in collaborazione con Centro nivo-meteorologico di Bormio (Arpa Lombardia), Commissione glaciologica Sat e Provincia autonoma di Trento (per il settore Adamello).

Dalle indagini nivologiche sui siti glaciali campione Sgl in Lombardia (tra fine maggio e primi di giugno) emerge che i valori di altezza delle neve e contenuto in acqua equivalente (Swe) mostrano anomalie tra il -20 e il -30%.

Rispetto al 2022, sono valori più contenuti, ma se nel 2022 le anomalie erano ugualmente distribuite con la quota, quest’anno sono significative soprattutto a quote più basse. Particolarmente significativa è l’anomalia negativa del ghiacciaio del Lupo (Orobie, 2.545 m) che è a -40% e -52% rispetto all’altezza neve e Swe media degli anni precedenti (2003/2009).

Ciò dipende dal fatto che gli apporti nevosi di maggio sono stati significativi solo sopra i 2.800 metri e crescenti fino ai 3.500, ma le anomalie sotto i 2.700 metri sono analoghe a quelle del 2022, che si pensava fossero eccezionali e statisticamente non replicabili in tempi stretti. "Evidentemente – si legge nel report – le statistiche meteo-climatiche stanno evolvendosi a causa del cambiamento climatico a una velocità superiore a quella immaginata".

I segni di una stagione contrassegnata da lunghi periodi di carenza di precipitazioni sono rimasti sul campo: i ricercatori hanno rilevato evidenti lenti di ghiaccio e croste da vento che separavano le masse nevose degli accumuli autunno-invernali e primaverili, a testimonianza dei lunghi periodi secchi e miti occorsi a febbraio e marzo.

Ma cosa ci dicono i dati nivologici sulla salute dei ghiacciai? Innanzitutto, che "la crisi climatica sta interessando le Alpi con incrementi di temperatura tra i più alti del pianeta", che poi portano ad aumentare la quota del limite delle nevicate e allungare la stagione in cui i ghiacciai fondono. L’accumulo nevoso è importante, in quanto prerequisito per arrivare alla stagione successiva con un buon "capitale" utile a proteggere il ghiacciaio ed avere abbastanza neve per resistere per l’intera estate, garantendo così la formazione di un nuovo ghiaccio che sostituisca almeno in parte quello perso durante la stagione estiva.

Ormai questo processo è limitato solo a porzioni di ghiacciaio a quote molto elevate: gli altri, nel contesto alpino lombardo, sono “fossili climatici“.