
Piero Manzoni
In ballo ci sono dieci milioni di euro. Tanto varrebbero, stando agli esperti, sette opere di Piero Manzoni, provocatorio autore delle scatolette con la Merda d’artista, che dopo la morte prematura (nemmeno trentenne all’inizio degli anni ’60), è assurto da tempo al ruolo di vera e propria star dell’arte contemporanea con valutazioni da capogiro. Manzoni però è anche tra gli artisti più falsificati, e le sette opere in questione - quattro Tela grinzata , due Pacco in carta di giornale e una Ovatta a rettangoli - secondo la Fondazione che fa capo ai suoi eredi sarebbero inesorabilmente false. Non così la pensano invece le proprietarie di quei lavori, vedova e figlia del celebre gallerista Giovanni Schubert, ucciso da un suo giovane collaboratore undici anni fa. Difese dagli avvocati Francesco Arata e Alessia Pontacolone, le eredi Schubert sono tornate in possesso delle opere dopo la condanna definitiva (per appropriazione indebita) di un avvocato bresciano che era stato vicino al gallerista ma che poi aveva rivenduto quei lavori come fossero suoi.
La questione non proprio da poco, com’è evidente, è già da un paio d’anni al vaglio del tribunale civile. Ed è lì che è in corso la battaglia legale dal valore stratosferico. Ovviamente il giudice ha affidato il compito di esprimersi sui Manzoni ad un perito, mentre ciascuna delle parti ha schierato i propri consulenti tecnici. Vertenza delicatissima, dunque, su un campo tra i più discussi come quello dell’arte contemporanea. L’ultimo colpo a sorpresa è stato la richiesta al giudice, da parte Schubert, di sostituire in corsa il perito d’ufficio perché ritenuto troppo “vicino“, nelle valutazioni già espresse, alle tesi della parte avversa. Il tribunale si è riservato di decidere.
Nel corso del primo processo svoltosi in sede penale, Rosalia Pasqualino Di Marineo, direttrice della Fondazione Manzoni, sostenne la tesi della falsità dei sette lavori "per ragioni tecniche e di stile", tra cui "l’assenza dell’uso del caolino (...) l’irregolarità del taglio della tela del quadro sul retro, oppure la sussistenza di sporcizie o colorazioni più scure". Dall’altra parte, però, il professor Floriano De Santi, che nel giudizio civile è consulente delle Schubert, ribatté, al contrario, che i pigmenti bianchi usati nelle Tele grinzate sono "entrati in commercio in epoche diverse", mentre se fossero opera di un falsario "sarebbero state senza dubbio realizzate mediante il bianco titanio". E che sul piano stilistico "le quattro Tele grinzate appaiono analoghe ad altre opere similari inserite nel catalogo generale" del Manzoni, curato nel 2004 dal suo massimo esperto Germano Celant. Altrettanto varrebbe per una delle Ovatta a rettangoli .
Posizioni inconciliabili, che il tribunale penale utilizzò per concludere che della falsità dei Manzoni non esisteva prova certa (e dunque assolvendo per quel reato) ma rimettendo la patata bollente dell’autenticità nelle mani del giudice civile. Che prima o poi, insomma, dovrà pur esprimersi. Immaginando fin d’ora che quali che siano le sue conclusioni si riparlerà dei sette Manzoni quasi certamente fino alla Cassazione. Per almeno dieci milioni di buoni motivi.