
Marcell Jacobs e la mental coach Nicoletta Romanazzi
Start. Falsa partenza. Si torna in posizione. Start di nuovo. Ora la partenza è valida, Marcell Jacobs corre più veloce di tutti e vola a conquistarsi lo storico oro olimpico nei 100 metri, la gara regina dell'atletica. Quello è il preciso istante in cui cambia la vita dell'atleta di Desenzano del Garda, ma cambia anche la vita di Nicoletta Romanazzi. Chi è? La mental coach di Marcell Jacobs e di numerosi atleti che stanno facendo la storia dello sport italiano nel mondo.
Nicoletta, fino a poco tempo fa quella del mental coach era una figura quasi accostata a quella di uno stregone...
"Sì, non si comprendeva bene chi fossimo e il motivo è anche che questo non è un settore regolamentato. Molte persone non hanno le competenze per fare il mental coach eppure esercitano questa che è una professione a tutti gli effetti. Io lo faccio da vent'anni e da vent'anni prosegue senza interruzioni il mio percorso di formazione. Non siamo motivatori, il nostro lavoro è quello di rendere autonomi i nostri clienti. Ho ricevuto recentemente volantini che promuovono corsi di qualche giorno alla cifra di 75 euro per diventare mental coach: è proprio questo genere di iniziative a sporcare la nostra professionalità".
Quando lei ha iniziato, 20 anni fa, quella del mental coach non era una figura "di moda". Come ha cominciato? "All'epoca si pensava al lavoro mentale come a quello dello psicologo. Ho scoperto il coaching per caso. Ho accompagnato il mio ex marito a un corso per il raggiungimento degli obiettivi e mi sono innamorata perdutamente di tutto quel mondo. Ho avuto una sorta di folgorazione: dovevo fare quello. E quindi ho iniziato a lavorare e a formarmi per essere una mental coach".
Quale è il suo metodo? "Anzitutto, il mental coach lavora per rendere indipendente e autonomo il proprio cliente. In seconda battuta, devo dire che non ho un metodo standard. Ho sperimentato su di me tantissimi strumenti, tantissimi modi di lavorare. Da lì ogni volta li accantono tutti, ascolto chi ho davanti e poi mi lascio guidare dalle intuizioni. L'intuito esiste e va sempre ascoltato. Se sei un bravo mental coach l’atleta si automotiva. Le persone con cui lavoro sono spesso troppo motivate e hanno bisogno di allentare. C’è la parte che vuole cazzeggiare, uscire con gli amici, rilassarsi e bisogna dare voce anche a questa parte. Voglio che sia l’atleta a trovare il modo giusto, altrimenti creo una dipendenza.".
Un mental coach ha un proprio mental coach? "Certo, ma non necessariamente un mental coach in senso stretto. Un mental coach deve avere strumenti per lavorare su se stesso sempre. La voglia di lavorare su se stessi è ciò che conta veramente. Non importa quali strumenti si utilizzino, l'importante è continuare a farlo".
L'impressione è che le Olimpiadi siano servite a far capire che anche la mente è un muscolo... "Esattamente. La mente è un muscolo da allenare: tanto più io mi conosco, tanto più imparo a conscere la mia mente quanto più divento libera e riprendo in mano il potere della mia vita. Lo stato di concentrazione massima che tutti hanno visto in Marcell Jacobs a Tokyo si allena. Si può imparare ad essere a quel livello di concentrazione e a rimanervi. E' follia che chiunque alleni il corpo, ma non pensi di dover fare lo stesso con la mente. Il corpo e la mente sono profondamente connessi. Lavoro soprattutto con gli atleti semplicemente perché la mia attività si è basata spesso sul passaparola. Amo le sfide e l'ambito sportivo è il più adatto, ma qualsiasi cosa si faccia nella vita si hanno blocchi da risolvere e risorse da mettere in gioco. Chi viene da me non deve per forza "avere un problema". Il portiere Mattia Perin, ad esempio, è arrivato da me dicendomi di essere contento e soddisfatto, ma di avere bisogno di qualcuno che lo aiutasse ad allenare la sua parte mentale così come aveva a disposizione un nutrizionista e un preparatore atletico per il corpo".
Prima ancora di salire alla ribalta con Marcell Jacobs, lei è stata la mental coach dell'immenso e indimenticato Andrea Mari, fantino del Palio di Siena e del Palio di Legnano recentemente scomparso in un incidente stradale. "Abbiamo lavorato insieme per otto anni, era un fratello per me. Siamo stati a Siena e a Legnano, abbiamo vinto quattro Palii insieme. Quella del mondo del Palio è una realtà parallela che sfugge a molte logiche del mondo "normale". Andrea era venuto da me perché diceva di avere difficoltà a concentrarsi. Eppure mi ha prestato totale attenzione per due ore consecutive. Evidentemente, quindi, non si trattava di un problema di concentrazione. Il lavoro con lui è stato quello di ripulire la mente, pensava a troppe cose nello stesso momento e questo lo danneggiava in gara. Quello che facevo con Andrea era aiutarlo a riportarsi nel centro, ad essere concentrato sulle poche e necessarie cose. Una parte importante del lavoro è stata quella di fargli riconoscere le sue fragilità".
E con Marcell Jacobs come è andata? "Con Marcell abbiamo cominciato a lavorare nel dicembre 2020. E' stato tutto molto veloce, anche perché lui si è fidato sin da subito e mi ha molto seguito. Abbiamo trovato una sintonia pazzesca e i risultati sono arrivati subito, è stato un successo dietro l'altro. Erano tutti risultati che aveva nel suo potenziale, ma che non riusciva a sblocare. Se fosse stato già un atleta di successo, questo lavoro mentale sarebbe stato meno evidente. I suoi risultati hanno reso tutto più "rumoroso". Proprio la sua esperienza dovrebbe rappresentare uno stimolo a capire cosa potrebbe fare ognuno di noi, quali risultati potrebbe raggiungere ognuno di noi lavorando su di sè. Non dico che tutti possiamo vincere la medaglia d'oro alle Olimpiadi, ma se anche ci fosse una sola possibilità su un milione di farcela vale la pena di concentrarsi e lavorare per raggiungere un obiettivo".
A proposito di obiettivo, cosa c'è nel futuro di Nicoletta Romanazzi? "Voglio lavorare per fare in modo che quella del mental coach sia una figura regolamentata. Lavorerò per dialogare con gli psicoterapeuti in modo da collaborare e trovare alleanze. E' necessario lavorare insieme per far capire il più possibile l'importanza di questo tipo di lavoro e per far comprendere che il primo aspetto sul quale bisogna lavorare sono le fragilità di ognuno".