Brescia – Chi si occupa di accoglienza, dal Ministero dell’Interno alle Prefetture fino agli enti gestori dei Cas, è abituato al ‘balletto’ dei numeri, perché la presenza di richiedenti protezione internazionale è legata agli arrivi, che aumentano giorno dopo giorno in primavera ed estate.
Tuttavia, mettendo in fila i dati, bisogna tornare indietro al luglio 2018 per trovare numeri più elevati di quelli del 31 luglio 2023 in termini di migranti accolti in Lombardia. In quella data, l’ultima per il quale è disponibile l’aggiornamento del Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione, in Lombardia c’erano 16.232 migranti, ben 2.156 in più rispetto al 30 giugno (+5.481 rispetto al 31 luglio 2022, +6.700 sul 31 luglio 2021). Si è lontani dai 22.762 del 2018, ma dopo l’emergenza Nord Africa è stato profondamente modificato anche il sistema di accoglienza, con una progressiva riduzione dei riconoscimenti economici ai gestori dei Cas (Centri per l’accoglienza straordinaria) che hanno portato a uno stallo sui nuovi posti reperibili sul territorio dalle Prefetture.
Dopo il decreto Cutro convertito in legge, i posti nei Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) già pochi perché lasciati alla disponibilità volontaria dei Comuni (nonostante siano la strada preferibile perché permette di creare progetti personalizzati di integrazione, con piccoli numeri diffusi sul territorio) sono diventati quasi inaccessibili, perché possono accedervi solo i titolari di protezione internazionale (limitati anche i servizi nei Cas, dove non si possono più fare neanche corsi di alfabetizzazione: si fa solo vitto e alloggio). Ma se il piano del Ministero dell’Interno ha previsto per la Lombardia una quota di 6mila migranti, alla luce dei nuovi arrivi, dove si recupereranno tutti questi posti?
Il tema si era posto in maniera importante nel 2022 con l’arrivo massiccio degli ucraini, ma l’accoglienza in famiglia aveva evitato che si dovessero gestire grandi numeri in poco tempo. Ora non siamo in quella situazione, perché gli arrivi sono comunque pianificati e gestiti a livello centrale. Il problema è trovare la disponibilità nei territori, perché anche chi ha già aperto le porte in passato, ora chiede che si guardi altrove.
“Due settimane fa ho chiesto al prefetto di iniziare a pensare a una exit strategy per noi – spiega Luca Masneri, sindaco di Edolo, alta Val Camonica -. Negli anni passati abbiamo avuto anche 200 migranti su una popolazione di 4.400 persone. Ora siamo a 70, vogliamo arrivare a 40, possibilmente famiglie, che si integrano meglio di uomini soli. E poi se queste persone potessero lavorare, sarebbe meglio per tutti". A Brescia, la Prefettura ha dovuto cercare un piano B dopo le perplessità sollevate dalla Loggia all’utilizzo dell’ex caserma Randaccio come punto di transito per i profughi. Anche qui, il Comune ha fatto presente di aver già in carico ben 220 minori stranieri non accompagnati, oltre a migranti nei Sai e dublinanti. La scelta, alla fine, è ricaduta su un immobile di proprietà statale a Flero, dove il sindaco non ha potuto che accettare la decisione. Del resto, il prefetto Valerio Valenti, commissario all’emergenza migranti, in una recente intervista al Mattino di Padova ha spiegato che i prefetti cercano una condivisione finale. "Poi però a un certo punto bisogna prendere le decisioni". E con i numeri in arrivo, la strada inevitabile sarà probabilmente questa.